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«Siamo l’unica lista che non rischia di sciogliersi prima ancora di iniziare la campagna elettorale». Viola Carofalo, 37 anni, ricercatrice precaria all’Università L’Orientale di Napoli e portavoce di Potere al Popolo, presenta così, con ironia, una delle novità “in concorso” alle prossime elezioni politiche. Il movimento super rosso - nato per impulso del centro sociale Je so’ pazzo di Napoli - ha raccolto in tempo di record firme necessarie a inserire il simbolo sulla scheda elettorale ed è pronto a sfidare nelle urne i “cugini” di Leu, coltivando il sogno di un’alternativa “radicale” di sinistra.
Carofalo, perché avete lasciato il movimento di strada e di contestazione per tentare di entrare in Parlamento?
La realtà da cui è partita questa iniziativa, l’Opg di Napoli ( l’ex ospedale psichiatrico del quartiere Materdei riconvertito in centro sociale), è una realtà di base, territoriale e autorganizzata che non ha mai avuto aspirazione rispetto al tema della rappresentanza. Ci è sembrato però che lo spostamento complessivo a destra della politica italiana fosse preoccupante. Ci siamo detti che forse era il caso di provare qualcosa di diverso, ricostruendo una democrazia orizzontale che rafforzasse e tenesse insieme realtà già esistenti. Inoltre non ci sentivamo rappresentati: per come stavano procedendo le costruzioni delle liste, votare a sinistra significava votare D’Alema.
La compilazione delle liste ha gettato i partiti di centrosinistra nel caos generale. Nel vostro caso, era in dubbio che riusciste a candidarvi. Cosa vi ha garantito il successo?
Non era affatto scontato che ce l’avremmo fatta, ma con i banchetti in tutta Italia abbiamo raccolto più firme del necessario: 40mila a fronte delle 25mila richieste. Le assemblee in questo percorso sono state sovrane, i conflitti forse nascono quando il coordinamento viene dall’esterno. La nostra campagna è stata la prosecuzione del lavoro svolto sui territori. I criteri per le candidature sono stati semplici: discontinuità rispetto ai governi precedenti e una buona proporzione di genere e età. Un cambio di passo, anche da parte di soggetti organizzati come Rifondazione Comunista.
Lei si definisce portavoce e non leader di Potere al Popolo. È un dettaglio che ricorda molto la retorica del primo Movimento 5 Stelle. Volete recuperare il loro elettorato deluso?
L’assonanza probabilmente dipende dall’uso del termine popolare. Ma noi non ci riteniamo assolutamente populisti. Anzi, nel nostro programma sono presenti argomenti fortemente divisivi, proprio perché vogliamo parlare ad alcuni e non ad altri, con una linea marcatamente di sinistra radicale. Sul tema ad esempio dell’accoglienza e del razzismo, per noi le posizioni dei 5stelle sono assolutamente inaccettabili. Vogliamo recuperare l’elettorato dell’astensionismo e il voto di protesta, ma non c’è alcuna similitudine dei programmi. Il M5S ha giocato molto sull’aspetto dell’antipolitica, contribuendo a offuscare l’immagine della politica, il loro atteggiamento ha portato solo uno scollamento della partecipazione popolare. Per me la politica è la cosa più bella che c’è, ma non solo quella che si fa in Parlamento.
Tra i vostri valori fondamentali: il diritto al lavoro, la solidarietà sociale e la ridistribuzione della ricchezza. Come giudicate la proposta grillina del reddito di cittadinanza?
Bisogna fare attenzione a non considerare il reddito di cittadinanza come sostitutivo della continuità lavorativa. Può essere senz’altro una misura di contrasto alla povertà, per lenire transitoriamente una condizione di difficoltà, ma non può andare a discapito del lavoro, rispetto al quale bisogna garantire stabilità e continuità.
Perché un elettore di sinistra non renziano dovrebbe scegliere voi e non Liberi e Uguali?
Perché le loro proposte sono renziane! Sono in perfetta continuità con il programma del Pd, anche nella gestione delle candidature, al di là di quello che dicono in campagna elettorale. Non hanno contrastato finché hanno potuto le politiche liberiste del Pd, come il Jobs Act e la riforma Fornero. Non ci sarà da stupirsi se dal 5 marzo in poi proveranno a riapparentarsi.
Invocate l’amnistia e l’abolizione del 41bis. Può spiegarci meglio la vostra posizione?
So che questa è stata la pietra dello scandalo. Il superamento del 41 bis è un procedimento di civiltà, nulla di più. Ma ci tengo a precisare che ciò che chiediamo è una riforma più complessiva della giustizia e del carcere. È una richiesta che nasce da due esigenze: una etico- morale, e una economico- sociale. Dal punto di vista morale, ci sembra che il carcere sia diventata una discarica sociale, dove il tasso di suicidi è altissimo: in media tre alla settimana in Italia. Il superamento del 41 bis si inserisce perciò in un ragionamento complessivo relativo a cosa significa detenzione: non è vendetta, non è vessazione di chi è stato giudicato colpevole di un reato ma, come dice la Costituzione, prevede la rieducazione del soggetto. Non siamo i soli a dire che il 41bis costituisce tortura, lo dice il Consiglio d’Europa e l’Onu. Chi sostiene che in questo modo si favoriscono le mafie, non tiene conto che il criterio di isolamento con l’esterno è già previsto dal sistema ordinario carcerario. Come persona del Sud, credo che il problema reale sia la mancanza di alternativa per coloro che costituiscono il bacino da cui attinge il sistema criminale. In molti territori lo Stato non ha garantito un’alternativa alla criminalità.
Parla spesso della città da cui tutto ha avuto inizio, la sua Napoli. In che rapporti siete col sindaco de Magistris?
Il sindaco ha speso buone parole per noi, ma non abbiamo una continuità politica con Dema, il suo movimento, e non siamo sempre stati d’accordo con le scelte dell’amministrazione. Abbiamo però capito che potevamo lavorare dal basso interloquendo con le istituzioni per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Faccio un esempio: siamo riusciti a ottenere - grazie ad un accordo con il Comune - la residenza virtuale per i senza fissa dimora e per gli stranieri senza contratto di affitto. Per molti ha significato accedere ai diritti minimi, come il medico di base e il permesso di soggiorno.
Era importante che fosse una donna la portavoce della lista?
Era importante rompere anche su questo piano. Quando abbiamo dovuto scegliere il portavoce, la priorità era che fosse una donna. Poi io avevo tutta una serie di sfighe: sono una donna, del Sud, precaria, ho vinto la hit parade.
Dite di ispirarvi ad altri movimenti europei di sinistra radicale come Podemos e France Insoumise. Ma è possibile replicare quel fenomeno in Italia in mancanza di un conflitto reale?
Podemos è nato a partire da una forte mobilitazione, da cui è esploso. Non è lo stesso per France Insoumise per cui le cose sono andate diversamente. Di fronte all’evidenza che in ambito europeo, con forme diverse - si prenda il Labour di Corbyn in Inghilterra - la sinistra riusciva a ricompattarsi e a trovare linguaggi e riferimenti nuovi, ci siamo chiesti: perché non in Italia? Si è ragionato in modo autoreferenziale all’interno dei movimenti, senza cercare nuovi interlocutori, ora il tentativo è di superare questi vizi attraverso l’esempio delle forze di sinistra che stanno avendo successo in Europa.
Qual è il popolo di Potere al Popolo?
Quello che non ha contato nulla fino a ora. È la maggioranza che non ha potere decisionale ma subisce le conseguenze dei cambiamenti più rilevanti, come la sanità privatizzata, l’alternanza scuola lavoro della Buona scuola, la precarizzazione del lavoro, la riforma sulle pensioni. Potere al popolo ci è sembrata un’espressione che teneva dentro una rivendicazione, anche sul terreno del linguaggio. Lo capiscono tutti.