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L’adesione unanime ed entusiastica è durata il tempo di un fine settimana di pioggia. Mentre il contatore di firme sul sito siamoeuropei. it sfonda quota 75 mila, Carlo Calenda non resiste ad entrare a gamba tesa nei delicati equilibri che si stanno costruendo intorno al suo Manifesto europeista.
«Non abbiamo fatto un appello per un fronte ant sovranista, ma un manifesto con proposte precise che vanno condivise», ha avvertito in un’intervista a Radio24, «Non è una cosa “contro”, ma una cosa “per”. Non credo alle ammucchiate “contro”». E, con ammucchiate, chiude la porta in faccia a ben due schieramenti politici, uno nell’immediata sinistra e uno nell’immediata destra del Pd. Senza troppi giri di parole: «Nello specifico credo che non debbano entrare LeU e Forza Italia». Insomma, secondo l’ex manager ( considerato da molti l’enfant prodige dem e da altrettanti un discolo troppo simile a Renzi), aprire il movimento a chi cerca «alleanze nazionali a destra o a sinistra» sarebbe «un’operazione di trasformismo politico».
Tutto nasce dall’interessamento al Manifesto europeista, espresso da Laura Boldrini da sinistra e da Paolo Romani da destra. La loro eventuale presenza, con annessa sigla del loro partito di riferimento, però, rischierebbe di travisare il senso di un movimento che nasce per essere largo e trasversale, orientato alla ricerca di un nuovo patto europeista tra politica e società civile. Eppure, la porta di Calenda non è chiusa per tutti: «Mi piacerebbe che + Europa e il Movimento di Pizzarotti aderissero». I fuoriusciti dal Pd e i forzisti no, i movimenti sì: questo sembra il discrimine. Del resto, il rischio che il Manifesto europeista si trasformi in un tentativo di costruire un’alleanza antisovranista è dietro l’angolo e Calenda punta ad evitare che il suo progetto venga trasformato nel contenitore di una potenziale coalizione in vista di appuntamenti elettorali interni. Trasformismo politico, appunto.
Del resto, che Calenda voglia guardare fuori dai partiti in senso tradizionale è il mantra che l’ex ministro ripete da mesi. Discorso a parte, invece, riguarda il Partito Democratico: Calenda ha platealmente preso la tessera proprio nelle settimane successive alle debalce elettorale del 4 marzo e ai dem continua a guardare, pur stando sempre attento a non farsi omologare nella stretta dinamica di partito. «Sono impegnato a costruire questo progetto e a tenere l’unità del Pd che si è costruita intorno», ha spiegato, aggiungendo di non avero votato al congresso nei circoli, perchè «Il mio obiettivo non è votare Martina, Zingaretti o Giachetti ma costruire questo movimento. Siccome ci sono tutti mi piacerebbe andare avanti». Tutti, nel senso che tutti e tre i candidati - considerati ormai certi contendenti nelle primarie aperte ( ma i dati definitivi del voto nei circoli non sono ancora arrivati) - hanno dichiarato di aderire al Manifesto europeista. Pur con qualche distinguo. Il favorito al congresso, Nicola Zingaretti, ha aderito senza condizioni. Martina ha specificato che il simbolo Pd non si tocca: «È uno strumento fondamentale per la nostra comunità. Si concorre in questo progetto assieme, portando anche tutto il valore del Pd, per amplificare il più possibile l’adesione a questo manifesto che raggruppa chi ha voglia di combattere per una nuova Europa». Giachetti, invece, chiede chiarezza sui compagni di viaggio ( dilemma risolto da Calenda): «Condivido da tempo con Carlo Calenda l’idea di mettere insieme quelli che vogliono una nuova Europa contro i populisti, ma credo che prima di scegliere la formula con la quale partecipare alle europee dobbiamo decidere qual è la nostra proposta e con chi realizzarla».
Il dibattito dentro al Pd è aperto, con picchi entusiastici e qualche voce scettica rappresentata dall’ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando. All’esterno, invece, l’invito esteso a + Europa è stato colto da Emma Bonino, che però ha scelto la linea della cautela. Il movimento, infatti, è nel bel mezzo del suo congresso. «Un manifesto non è una lista. Deciderà il congresso, per questo abbiamo invitato Calenda», ha spiegato, pur tenendosi sul vago: «Per il momento non si sa dove vada a parare la cosa. Siamo attenti a quello che si muove, ma per ora l’attenzione è per + Europa». Se il Manifesto di Calenda ha riscosso subito successo nel mondo progressista, il veto così netto sulla presenza di Leu e Forza Italia ha sollevato più di qualche obiezione. «I moderati che fine hanno fatto? C’è ancora uno spazio per loro in questa fase storica?», si è chiesta l’ex ministro e leader di Civica popolare, Beatrice Lorenzin. «Sorprende che anche nel dibattito, che per inciso apprezzo, sul fronte unico pro Europa si faccia riferimento a diverse anime, tutte legate storicamente alla sinistra e al progressismo, e non si cerchi di intercettare l’enorme fetta di elettorato moderato, popolare, liberale, che non può riconoscersi nel sovranismo». Un errore politico che, secondo Lorenzin, è «ancora rimediabile», altrimenti si rischia di «consegnare questo pezzo importante di elettorato alla Lega o al non voto». Più caustico, invece, Pierferdinando Casini. «La lista unica di Calenda? Non ho capito cosa sia, dico la verità». Anche lui ha ricordato come «Il Pd è arrivato al 40% prendendo un sacco di voti da elettori che in passato avevano votato per i moderati. Io ne sono un’espressione. Quindi o il Pd riprende quei voti oppure di cosa parliamo?». Silenzio, invece, sul fronte della sinistra vicina a LeU. Il manifesto ha ricevuto le adesioni di Laura Boldrini e del governatore della Toscana, Enrico Rossi. Nessun commento, invece, da parte di Pierluigi Bersani e Roberto Speranza. Eppure, oggi, il fronte che si era congiunto in LeU è ormai balcanizzato e senza più una cornice unitaria. Viene dunque da chiedersi se il Manifesto “per” di Calenda possa accogliere, se non uno o più blocchi partitici, singole personalità d’area. Tutto è ancora in costruzione, unico dato certo è che il veto anticipato ai partiti mette il progetto su inediti ( per il Pd) binari movimentisti.