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Fino al giorno prima è rimasto nell'ombra, come il ruolo gli imponeva e si sa quanto Sergio Mattarella tenga al rigido rispetto dei limiti istituzionali. Da ieri pomeriggio è protagonista assoluto. La crisi è nelle sue mani perché questo è il ruolo istituzionale del capo dello Stato in frangenti simili. Per la verità, tenendo conto del suo stile, in questa lunghissima pre-crisi si è già esposto molto più del solito in due occasioni distinte. Prima facendo filtrare la sua disponibilità a sciogliere le Camere, nonostante la situazione quasi proibitiva, di fronte a una crisi che non si risolvesse molto rapidamente, poi rendendo noto il suo colloquio con Renzi, nel quale aveva chiesto al leader di Iv di congelare almeno le dimissioni delle ministre di Iv sino al varo del Recovery, priorità assoluta per il Paese. Con discrezione, però, è intervenuto anche con il premier Conte, in numerosi colloqui, suggerendo di fare il possibile per risolvere la crisi nel perimetro della maggioranza: evitandola se possibile, facilitandone un "pilotaggio" altrimenti, preoccupandosi di limitarne le conseguenze deflagranti nella peggiore delle ipotesi.
Arrivato al momento dell'esplosione il Presidente è di umore pessimo. Amareggiato per una crisi che arriva nel momento peggiore, ignorando le sofferenze dei cittadini per una pandemia che non arretra e una crisi economica che avanza. Deluso per lo scarso conto nel quale sono stati tenuti i suoi consigli. Renzi li ha seguiti per finta, limitandosi a permettere l'approvazione del Recovery da parte del CdM quando la richiesta era evidentemente quella di sospendere le ostilità fino al lancio definitivo del Piano. Conte, poi, si è mosso in direzione opposta, annunciando la fine di ogni possibile intesa con Renzi dopo il ritiro delle ministre. Il contrario esatto di quella "crisi pilotata" con rotta verso la ricostruzione della stessa maggioranza che aveva in mente il Presidente.
Ora che la palla passa a lui, Mattarella ha chiaro almeno il punto di partenza: nel pieno di una emergenza multipla e gravissima come questa il paese non può essere governato da una maggioranza raccogliticcia e forse effimera, messa insieme raggranellando senatori dove capita. Deve essere una vera maggioranza, con numeri certi e con un soggetto parlamentare che sostituisca Iv. I famosi Responsabili, se ci sono, devono non solo uscire allo scoperto al momento del voto ma assemblarsi in un gruppo o in una componente del gruppo Misto, un'area chiara e ben identificata. La richiesta implica un corollario decisivo: boccia infatti, pur senza dirlo apertamente, la strategia che avevano in mente gli strateghi di palazzo Chigi. Andare al voto senza bisogno di passaggi formali, nella speranza di raccogliere i 161 voti necessari per la maggioranza assoluta, o almeno quelli necessari per una maggioranza relativa e poi proseguire, magari anche con un governo di minoranza, senza ulteriori scosse. La richiesta di disporre di una maggioranza formalizzata non dovrebbe implicare l'obbligo di dimissioni, anche perché in caso contrario diventerebbe impossibile varare lo scostamento di bilancio da 24 mld e il nuovo dl Ristori, ma comporta comunque un lavoro più strutturato di quanto non prevedesse la caotica conta che aveva ideato lo staff di palazzo Chigi.
Se il nuovo gruppo garantirà a Conte una maggioranza il compito di Mattarella finirà lì. Se si trat- terà di un governo di minoranza è probabile pur se non certo che il Presidente consenta comunque di proseguire una navigazione che a quel punto sarà di certo accidentata e con il rischio di diventare tormentosa. Se invece Conte sarà battuto tutte le ipotesi torneranno sul tappeto e quella delle elezioni anticipate non sarà affatto la prima della lista. Sarà al contrario l'ultimissima.
Di certo non è sfuggito al Colle il messaggio lanciato da Beppe Grillo con l'esortazione a costituire un governo di unità nazionale. È vero che subito dopo, quasi certamente in seguito alle proteste dei contiani interni al M5S, il fondatore ha aggiunto che a guidare quel governo dovrebbe essere sempre Conte ma la forza d'urto dell'apertura a un esecutivo di tutti resta quasi inalterata. In prima battuta però il Presidente batterebbe però la strada sicura di una conferma di questa maggioranza, il che implicherebbe la disponibilità a sacrificare Conte. Solo in seconda battuta considererebbe un ' governo di decantazione' sulla carta di pochi mesi ma che avrebbe invece molte chances di arrivare sino alla nomina del nuovo capo dello Stato, Le elezioni anticipate sarebbero l'ultima ratio.
Ma i poteri del Colle, in circostanze simili, sono vasti, non illimitati. Alla fine tutto dipenderà da quanto Pd e M5S saranno davvero disposti a giocarsi moltissimo, se non tutto, per restare saldi nel sostegno senza alternative a Giuseppe Conte.