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Rackete davanti ai pm Quattro ore di interrogatorio, durante le quali Carola Rackete ha ricostruito il percorso della Sea Watch a partire dal 12 giugno, giorno del salvataggio in mare di 53 persone, fino al giorno in cui, disobbedendo all’alt della Finanza, ha fatto ingresso al porto di Lampedusa, facendo finire, dopo 17 lunghi giorni, l’odissea dei migranti.
La giornata della capitana ad Agrigento si è chiusa così, con striscioni di riconoscenza ed applausi all’uscita del tribunale, dove è stata sentita per l’indagine parallela che la vede indagata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Accompagnata dagli avvocati Leonardo Marino e Alessandro Gamberini, Carola ha raccontato dei diversi tentativi andati a vuoto di contattare le autorità, prima di decidere di seguire la rotta che l’ha condotta a Lampedusa, l’unica sicura sulla sua strada.
Il racconto di Carola Dopo il salvataggio, a 47 miglia nautiche dalla costa, Rackete aveva comunicato la presenza dell’imbarcazione in difficoltà ai centri di coordinamento in mare di Libia, Olanda e Malta.
Nonostante la disponibilità della Guardia Costiera libica, «ho capito che non potevamo farlo - aveva già spiegato al gip - perché lì vi erano state diverse violazioni dei diritti umani».
Malta fu esclusa perché meta più lontana, mentre in Tunisia «non ci sono porti sicuri». Così Rackete ha deciso di avvicinarsi a Lampedusa, chiedendo invano alle autorità di poter entrare per lo sbarco e sottolineando la presenza «di casi medici urgenti» a bordo.
«L’interrogatorio è andato bene - ha spiegato al Dubbio Gamberini - abbiamo spiegato i fatti, anche alla luce del giornale di bordo e le ragioni per cui la Sea Watch si è mossa ad effettuare questo salvataggio. Il capitano ha documentato tutto, comprese decine di mail e tentativi di tutti i tipi di avere un porto sicuro da una frontiera europea. Il porto più vicino e sicuro, secondo anche le normative internazionali, era Lampedusa e quindi si è diretta lì, che era anche la scelta più coerente rispetto alle onde che doveva affrontare. Criminalizzare l’impegno dei volontari che salvano vite è una vergogna».
Un buon capitano Insomma, Rackete «ha agito come un buon capitano, in ossequio alle normative internazionali». Davanti ai cronisti, la capitana ha chiesto all’Europa un intervento deciso sul tema dei migranti.
«Abbiamo migliaia di profughi che vanno evacuati da un paese in guerra. Mi aspetto dalla Commissione europea che trovi al più presto un accordo per dividere i profughi tra i paesi europei e che tutti i Paesi accettino le persone salvate dalle flotte di navi civili», ha affermato.
E a chi le chiedeva cosa pensasse di Matteo Salvini la risposta è stato un laconico «niente». L’occasione è servita anche per smentire qualunque tipo di contatto tra la Sea Watch e i trafficati: «una vera e propria frode argomentativa. L’istigazione all’odio è proprio questa».
E poi un passaggio sulle intimidazioni ricevute dai magistrati, definite «gravissime» e sintomo del «significato che assumono certe parole d’odio che vengono diffuse irresponsabilmente da chi ha una responsabilità istituzionale».