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Al termine del Consiglio dei ministri del 29 dicembre, la Giunta aveva diramato un comunicato dai toni molto duri in cui ribadiva che «contrariamente a quanto annunciato, il governo non ha adottato alcun intervento correttivo né sul lato delle pensioni né su quello del termine per la legittimazione ai trasferimenti, neanche per i magistrati più giovani». Il 31 dicembre, proseguiva la nota, «diversi colleghi saranno collocati a riposo, andando a peggiorare la drammatica carenza di organico, con la consapevolezza di essere stati discriminati e aver subito le conseguenze di una inspiegabile norma che ha stabilito, in contrasto con la Costituzione, che alcuni uffici giudiziari sono più importanti di altri». La scelta dell’esecutivo, aveva dunque sostenuto l’Anm, «non ha tenuto per nulla in considerazione gli impegni politici assunti dal governo e in modo ufficiale dal ministro della Giustizia». Poi l’affondo: «Si sta valutando ogni possibile iniziativa da adottare in conseguenza di questo incomprensibile vulnus alla positiva interlocuzione che sembrava esser- si concretizzata negli ultimi mesi nell’interesse superiore dei cittadini» . A questo comunicato, si erano aggiunti quelli di alcuni gruppi della magistratura associata. Il più deciso quello di Autonomia & Indipendenza, la corrente che fa capo al presidente dell’Anm Piercamillo Davigo e al togato al Csm Aldo Morgigni: «Le misure adottate dal Consiglio dei ministri non appaiono per nulla corrispondenti all’impegno scritto assunto dal ministro della Giustizia e dell’allora presidente del Consiglio Renzi. È gravissimo sul piano istituzionale la violazione di questo formale impegno, in quanto ciò denota l’assoluta mancanza di ogni forma di rispetto verso la funzione giudiziaria, il suo corretto ed efficace svolgimento e chi è chiamato a rappresentarla». Le toghe di A& I hanno inoltre definito «impossibile» ogni forma di dialogo con chi «omette ogni intervento per migliorare le condizioni del servizio da rendere ai cittadini, preoccupandosi di adottare solo misure e riforme che hanno avuto l’effetto di peggiorare le condizioni di lavoro dei magistrati senza produrre alcun beneficio». Perciò «è inutile ogni forma di confronto con interlocutori privi di ogni affidabilità perché non rispettosi degli impegni assunti: lo sciopero è l’unica forma di protesta da adottare». Dello stesso avviso, pur con toni diversi, i successivi interventi di Magistratura indipendente e di Area.
In quella giornata convulsa gli osservatori attenti hanno però notato l’assenza del comunicato di Unicost che, sul tema, non ha voluto prendere posizione.
Il silenzio della corrente di centro delle toghe, dai duri dell’Anm accusata di essere filogovernativa, è stato verosimilmente il motivo del “time out tecnico” da parte della Giunta. Una pausa di riflessione in vista del prossimo Comitato direttivo centrale dell’Anm, già convocato per il 14 gennaio, che sarà chiamato a prendere la decisione finale sulla risposta da dare al Governo. Al momento, dunque, l’unico punto su cui tutti i magistrati sono d’accordo è che la proroga decisa per decreto per i vertici Cassazione presenta aspetti di incostituzionalità. Anche il Csm, infatti, aveva approvato in plenum il 21 settembre scorso un documento della Sesta commissione, relatori i togati Palamara, Morosini, Aprile e Forteleoni, che sollevava dubbi al riguardo. Sull’età massima per il trattenimento in servizio, invece, le opinioni nella Giunta unitaria sembrano essere distanti.