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carcere Tolmezzo
Sollevata la questione di legittimità costituzionale in merito all’applicazione del 41 bis agli internati, ovvero coloro che hanno finito di scontare la pena ma sono stati raggiunti da una misura di sicurezza. A deciderlo è la prima sezione della Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dagli avvocati Valerio Vianello Accorretti del Foro di Roma e Piera Farina del Foro de L’Aquila. Lo hanno fatto nell’interesse di un internato presso il carcere di Tolmezzo (dove c’è la casa lavoro) che, finito di scontare la pena al 41 bis nel 2016, è stato raggiunto da una misura di sicurezza e, di fatto, ha continuato a rimanere recluso sempre con l’applicazione del carcere duro. Ciò, come tutti gli altri internati al regime differenziato, vanifica qualsiasi obiettivo che si dovrebbe raggiungere con la casa di lavoro. Misura di sicurezza, questa, che prevede lo svolgimento di attività lavorative, ma - come hanno scritto i legali nel ricorso - «essendo in 41 bis non possono trovare alcuno spazio, in quanto il detenuto – come previsto con precisione dall’ordinamento penitenziario – è costretto a restare chiuso nella propria camera detentiva per 21 o 22 ore al giorno». Penalizzati rispetto ai detenuti Ma non solo. Nel ricorso accolto dalla Cassazione, i legali Vianello e Farina hanno anche sottolineato che un internato al 41 bis è anche penalizzato rispetto ad altri perché gli sono precluse alcune specifiche licenze. Queste ultime sono contemplate dall’articolo 53 dell’ordinamento penitenziario, perché sono parte del percorso trattamentale per gli internati, volte a consentire – come recita la sentenza della Cassazione del 1986 - «sia pur sporadiche occasioni di primo contatto con l'ambiente esterno». Ogni qual volta però sono state richieste, l’Ufficio di Sorveglianza le ha sempre rigettate proprio perché l’internato è al 41 bis, un regime duro che esclude qualsiasi tipo di beneficio. Ma tutto questo cosa comporta? Lo spiegano bene i legali dell’internato nel ricorso, osservando che la contemporanea applicazione della misura di sicurezza e del 41 bis crea, dunque, «un evidente e illegittimo “corto circuito” nell’ordinamento, perché impedisce che il detenuto – a causa delle severe limitazioni tipiche del regime del carcere duro – possa svolgere il percorso lavorativo e rieducativo peculiare previsto dalla misura di sicurezza della casa di lavoro, così non potendo ottenere, nelle successive valutazioni sulla sua pericolosità da parte del magistrato di Sorveglianza, l’eventuale valutazione in positivo del suo percorso da internato, potendo restare in astratto sottoposto a tale paradossale situazione senza limiti di tempo». Il carcere duro non si concilia con il reinserimento Come poi si possa conciliare la funzione che la legge assegna alla Casa di lavoro e la sua funzione di facilitazione nel rientro sociale con la previsione di internamento in regime speciale del 41 bis, d’altronde, è risultato assolutamente non chiaro nemmeno al Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma che ha intravisto in tale previsione il rischio di un mero prolungamento della situazione detentiva speciale per motivi di sicurezza. L’internato che ha fatto ricorso per Cassazione ha completamente espiato la propria pena già dal 2016 e si trova nuovamente notificato il provvedimento di proroga del regime del 41 bis per medesime circostanze investigative oggetto di ogni contestato rinnovo. Un problema, com’è stato detto, che riguarda tutti gli altri internati nelle medesime condizioni. Ed è qui che si prospetterebbe una violazione della Costituzione. La corte di Cassazione ha infatti recepito il problema e ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del 41 bis comma 2 e 2 quater, nella parte in cui prevedono la facoltà di sospendere l’applicazione delle regole di trattamento nei confronti degli internati. La Cassazione, oltre a fare riferimento alla violazione dei vari articoli della Costituzione, ha anche fatto riferimento all’articolo 4 del protocollo 7 della Cedu. Un passaggio significativo, perché tale articolo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo parla del diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso fatto. In effetti, applicare il 41 bis a una persona che ha finito di scontare la sua pena è una doppia punizione. Ora l’ultima parola l’avrà la Corte costituzionale.