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Sulla carta sono quasi tutti schierati per il Sì. Ma, a ben guardare, le posizioni dei singoli partiti sul taglio dei parlamentari presentano una vastissima gamma di colorazioni e sfumature che non sempre aiutano gli elettori ad orientarsi. Si va dal “Sì ma se vince il No non è un dramma” della Lega, al “Sì ma anche No” del Pd, passando per il “Sì anche se è inutile” di Renzi, fino al “Sì ma non urliamolo troppo di Fratelli d’Italia” e al “Sì ma è un attentato alla democrazia” di Berlusconi. Finisce che a pronunciare l’unico Sì netto restano i grillini, i promotori della riforma, gli unici interessati al trionfo della sforbiciata. E non solo per una questione ideologica, identitaria, ma soprattutto per mancanza di alternative. Se gli altri partiti fremono soprattutto per l’esito delle Regionali, infatti, al Movimento 5 Stelle non è dato provare questo brivido.
In nessuna delle competizioni territoriali i pentastellati sembrano destinati a lasciare il segno. O meglio, potrebbero anche farlo, ma non in senso attivo, trasfor-mando le liste autonome del M5S - quotate come poco competitive un po’ ovunque, ma non per questo insignificanti - nell’ostacolo decisivo alla vittoria dell’alleato di governo: il Pd. Potrebbe accadere ad esempio in Puglia, dove la candidata grillina dovrebbe arrivare tranquillamente a doppia cifra, ma anche in Toscana e nelle Marche, dove la battaglia si combatterà su ogni singolo voto. Meglio rimuovere allora il capitolo Regionali dalla campagna elettorale, che potrebbero provocare una slavina sul governo, e concentrarsi sul referendum, sulla vittoria apparentemente facile da rivendicare come successo indiscusso.
Ma dopo aver costretto tutto l’arco parlamentare a sostenere il taglio dei parlamentari in Aula, i cinquestelle saranno costretti a condividere i meriti del “colpaccio” con tutti, anche con gli scettici saliti sul carro per non rimanere piedi. Ma andiamo con ordine per capire da vicino le posizioni dei singoli partiti. La Lega ha sostenuto la riforma durante tutto l’iter parlamentare: ha votato sì all’epoca in cui condivideva i banchi della maggioranza col M5S e ha confermato la scelta anche all’opposizione.
Matteo Salvini continua a dirsi convinto della bontà della decisione, anche se in campagna elettorale preferisce concentrare l’attenzione solo sulle elezioni, ma nel Carroccio le voci fuori dal coro non mancano. E sono di peso: da Giancarlo Giorgetti ad Attilio Fontano, passando per Gian Marco Centinaio e Claudio Borghi. Non proprio seconde file del partito. «Noi non siamo una caserma, se qualcuno vuole votare in modo diverso lo faccia», commenta Salvini, senza soffermarsi troppo sul problema. Eppure se ci sarà un referendum costituzionale è merito anche di sei senatori del Carroccio, che hanno apposto la loro firma per sottoporre la riforma al parere popolare Poi c’è il Pd, da sempre ostile alla riforma pentastellata ( per ben tre votazioni su tre in Parlamento), convinto dalla ragion di Stato a sostenere il taglio grillino in nome della stabilità di governo. Nicola Zingaretti ha portato la direzione a schierarsi per il Sì, ma i malumori, tra militanti e dirigenti non sono affatti isolati. Voteranno “No”, ad esempio, Luigi Zanda, Gianni Cuperlo, Matteo Orfini, Giorgio Gori e Laura Boldrini. Senza contare la contrarietà al taglio annunciata dai padri nobili del partito: da Romano Prodi ad Arturo Parisi, da Giuseppe Fioroni a Rosy Bindi, passando per il fondatore Walter Veltroni. L’indicazione ufficiale del Nazareno, a questo punto potrebbe valere poco per un iscritto, che a scorrere l’elenco dei No si farebbe venire più di un dubbio.
Discorso diverso per Fratelli d’Italia, l’unico partito a non aver apposto neanche una firma per l’indizione del referendum ( persino due grillini l’hanno fatto) schierato da sempre a sostegno del taglio.
Voci critiche: rarissime, pari al livello però di passione che ci mettono i dirigenti meloniani a sostenere le ragioni del Sì. Un atteggiamento ben riassumibile con le parole di Ignazio La Russa al Dubbio in un’intervista di qualche settimana fa: «Non ci stiamo sbracciando per la campagna elettorale referendaria: noi la nostra indicazione l’abbiamo data in Parlamento. Non getteremo di certo la croce addosso a chi, anche tra i nostri elettori, decidesse di sbarrare il No».
Infine Matteo Renzi, ufficialmente in campo per il Sì, anche se con libertà di coscienza per i propri elettori, che porta questi argomenti alla causa del taglio: «Questi hanno fatto uno spottarello che non serve a niente. Inutile, non dannoso».
Male che vada, per gli scettici, sarà comunque un trionfo dei Sì da poter rivendicare. Quanto Luigi Di Maio.