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Nicola Zingaretti con Dario Franceschini, ex ministro dei Beni culturali e ora deputato del Pd
Rifondare il Pd. È questa la nuova parola d’ordine che ormai ripetono tutti al Nazareno. Lo dice il segretario, Nicola Zingaretti, convinto che per consolidare una volta per tutte la sua leadership e la sua visione del mondo serva un nuovo confronto congressuale. E lo ripetono anche le minoranze interne, come quella rappresentata da Matteo Orfini, che al contrario vorrebbero aprire una discussione interna contro l’ineluttabilità dell’alleanza giallo- rosso. In ogni caso, il segretario vuole un congresso vecchio stampo, a tesi contrapposte, libero dalla retorica renziana delle primarie aperte alla società civile, dove un voto ai gazebo vota quanto quello di un militante.
Zingaretti ha urgenza di ricostruire una comunità smarrita e anche in fretta. A costo di indire un congresso a gennaio, magari in piena campagna elettorale per le Regionali in Emilia Romagna, la battaglia più importante per il futuro del governo Conte. Il segretario pretende che la svolta sia sostenuta dal consenso.
«Rifondare il Partito democratico per me significa ricostruire una comunità aperta, per dare all'Italia una forza plurale, ricca e partecipata», scrive su Facebook Zingaretti. «Per dare a una nuova generazione un'opportunità di partecipazione». Il segretario è convinto che serva uno scossone per uscire dal torpore in cui si è cacciato il suo partito. E per annunciare al mondo la sua decisione prende carta e penna - come ai tempi in cui la politica non si cucinava sui social network - e scrive una lettera indirizzata al Corriere della Sera.
«La destra ha saputo più di noi cogliere lo smarrimento degli italiani, lo sradicamento di legami antichi, la paura della frammentazione e della dispersione», è l’autocritica del segretario. «La destra sovranista in tutto il mondo, e la Lega in Italia, propongono approdi forti e chiari. Certo autoritari, regressivi e intollerabili per noi, illiberali e xenofobi», prosegue nell’analisi Zingaretti. «Ma sono approdi, forme cui aggrapparsi. Simboli identitari e sicurezze ideologiche».
E davanti a queste certezze granitiche, anche se frutto di colossali «bugie», fornite agli elettori dal blocco sovranista, la sinistra ha saputo solo frammentarsi, separarsi, chiudersi negli egoismi. «Ho avvertito a volte una resistenza politica, ma persino psicologica, ad aprirsi davvero a una ricerca libera per costruire un destino comune. Per usare insieme la forza della critica e ritrovare un’identità comune», dice ancora Zingaretti, prima di puntare il dito contro chi continua a «picconare» il partito o si arrocca su «derive» conservatrici. Creare nuovi partiti personali o rimanere nel Pd nella speranza di garantirsi una sopravvivenza in riserva non ha comunque senso.
Ma i cambiamenti radicali non avvengono dall’oggi al domani, hanno bisogno di tempo per maturare. «La giustizia sociale, la rivoluzione verde per lo sviluppo, che sono l’anima del nostro progetto alternativo alla destra, richiedono pensiero e cultura», argomenta il segretario Pd. «Per questo dopo 12 anni di parole e auspici, ora con coraggio stiamo rimettendo mano in modo radicale allo statuto e alla forma partito», annuncia. «Non si tratta di cambiare qualche regola ma di una scelta politica di fondo. Cambiare davvero tutto per dare alla democrazia italiana un soggetto plurale ricco e partecipato della politica».