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Il dibattito parlamentare sul vertice del Consiglio europeo è stato affrontato dal governo e dalla maggioranza come un obbligo burocratico da sbrigarsi il prima possibile. Le differenze, in particolare sul Mes, sono state ribadite e confermate ma senza spingersi oltre. Se ne riparlerà in autunno. Nessuno voleva che le tensioni esplodessero ora e nessuno se lo augurerà davvero, sia nella maggioranza che nell'opposizione, prima della fine di settembre.
Le cose cambieranno, sempre che non intervenga qualche emergenza sanitaria o economica di prima grandezza, solo dopo quel confine cronologico, quando la partita europea del Recovery Fund sarà conclusa, quando la riforma costituzionale sarà stata approvata, la nuova legge elettorale proporzionale varata, la situazione ai verti del M5S chiarita e quando il voto del 20 settembre permetterà una valutazione dei rapporti di forza meno volatile dei sondaggi. Se ci sarà una legge proporzionale, se i risultati delle regionali non saranno per il Pd sconfortanti e naturalmente se non sarà intervenuta una nuova emergenza sanitaria a blindare il governo, il conto alla rovescia partirà in quel momento, con l'obiettivo porre termine alla legislatura prima della dead line del prossimo giugno, ultima data utile per votare prima del semestre bianco.
Per ora si tratta solo di lanciare segnali, magari solo timidi, e il voto sul Mes ha offerto l'occasione adatta. Iv ha votato la mozione di Emma Bonino a favore del Mes contro il resto della maggioranza. Fi non è arrivata a tanto ma si è diversificata dalle altre due formazioni della destra astenendosi dal voto. È il segno che un'area centrista composta da Renzi, Calenda, Bonino e dal partito azzurro può almeno essere immaginata. Per la messa in opera bisognerà aspettare la nuova legge elettorale. Se passerà quella in discussione, tanto più se con una soglia di sbarramento abbassata al 3% come chiede LeU e pretende Renzi, l'effetto terremotante sul quadro politico sarà simile a quello del 1993. Da allora, infatti, tutte le leggi elettorali che si sono susseguite hanno sempre mantenuto una componente più o meno spiccata maggioritaria. Pur molto diverse tra loro hanno dunque sempre fatto in modo che fossero salvaguardate, almeno sulla carta, le coalizioni. E' vero che poi, nella pratica, quelle coalizioni sono state messe da parte dopo le elezioni, ma sempre in nome dell'emergenza, dell'impossibilità di fare altrimenti, della transitorietà. Quindi sempre in modo confuso e farraginoso, senza mai recuperare quella totale libertà di movimento, a urne chiuse, che è permessa invece da un sistema compiutamente proporzionale.
Se le prossime elezioni saranno celebrate con quel sistema non saranno in campo neppure nominalmente due poli ma diversi partiti, alcuni dei quali prometteranno di governare insieme sempre che gli elettori glielo permettano, cioè sempre che raggiungano la maggioranza parlamentare. A tutt'oggi è molto improbabile che i partiti dell'attuale maggioranza ce la facciano, tanto più che la tenuta del M5S a livello di vertice e ancora più di base elettorale è incerta. Molto dipenderà dal peso reale della variabile Conte, ma il traguardo della maggioranza assoluta è distante.
La destra, sulla carta, sta messa meglio ma anche in questo caso senza alcuna certezza di arrivare alla maggioranza assoluta e comunque con una tensione sottopelle che non è meno lacerante di quelle, invece ben visibili anche in superficie, che dividono la maggioranza. La divaricazione, anzi, è più profonda perché riguarda l'Europa e interviene in una fase nella quale le relazioni con l'Unione saranno anche più determinanti di quanto non fossero nel 2018- 2029, quando determinarono la caduta del governo gialloverde.
Il tentativo di costituire una maggioranza europeista con i 5S, se del caso ulteriormente depurati dalle loro pulsioni euroscettiche, dal Pd e da una formazione centrista con dentro Renzi, Calenda e Berlusconi è nell'ordine delle cose. A questo, del resto, mira la santificazione corale di Berlusconi e non a caso Prodi ha accompagnato il suo contributo alla beatificazione con un appello unitario rivolto ' agli europeisti'. La legge elettorale in gestazione è perfetta per agevolare un simile esito.