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Luca Poniz presiede l’Anm. È una figura poco incline all’esposizione mediatica. Eppure nel comunicato con cui mercoledì sera l’Associazione da lui guidata ha respinto gli attacchi al giudice di sorveglianza milanese che ha differito la pena del detenuto Franco Bonura, si avverte un’indignazione che non ammette repliche.
Avete ricordato che la decisione su Bonura è regolata da una norma ispirata a propria volta ai principi costituzionali: trova desolante dover rammentare che in Italia esiste il principio di umanità della pena?
Nel comunicato di due giorni fa abbiamo sentito l’urgenza di ricordare principi di fondamento costituzionale non di rado ignorati nel dibattito pubblico. Nessuna parte dell’ordinamento penale e penitenziario è zona franca rispetto ad essi; naturalmente ogni singola decisione deve valutare gli elementi propri della vicenda, e decidere, in concreto, sulla base di un difficile bilanciamento dei valori in gioco. Il Giudice del caso lo ha fatto, il provvedimento è motivato e sarà oggetto di ulteriore rivalutazione da parte del Tribunale di sorveglianza: questa è l’essenza della giurisdizione, il compito difficilissimo dei giudici, che si vorrebbe sottratto alle contrapposizioni non di rado sorrette da pura logica politica.
Il Pg di Cassazione Salvi ha osservato come le norme precedenti all’emergenza consentano al giudice di sorveglianza di valutare le istanze dei detenuti tenuto conto del drammatico quadro sanitario: la decisione di Milano può essere inserita in tale cornice?
Il documento del Procuratore Generale Salvi traccia una serie di indicazioni di notevole importanza, sul tema del rapporto tra emergenza “coronavirus” e stato detentivo; il provvedimento dell’ufficio di sorveglianza di Milano – adottato ai sensi dell’art. 147 c. p. muove dalle condizioni di salute del detenuto, dalle sue pregresse patologie ( dal Giudice valutate come “importanti”) in relazione alle quali la motivazione indica “anche” una possibile rilevanza del rischio di contagio: nessun automatismo, nessuna stretta correlazione con la situazione pandemica. Anche in relazione a tale pretesa parte del provvedimento – evidentemente non ben letto – le polemiche appaiono strumentali.
Voi dite che gli attacchi non condizionano le decisioni dei magistrati: ma davvero non ci sono rischi che le polemiche seguite alla scarcerazione di Bonura influiscano su futuri provvedimenti?
Il ruolo del Giudice è difficile perché sempre le sue decisioni scontentano almeno una parte: diciamo che ognuno di noi è pronto, e dunque culturalmente e professionalmente attrezzato, a vedere le proprie decisioni discusse, non condivise, criticate, anche aspramente. Ma ogni Giudice sa anche bene che in nessun modo il consenso sociale o politico è condizione dell’esercizio della giurisdizione, ed al consenso – così come al dissenso – non può che essere indifferente. Naturalmente attacchi, quando non violente delegittimazioni ( alle quali siamo ormai abituati, ma mai indifferenti) possono rendere più difficile il nostro compito, ed è con quella finalità che secondo noi essi vengono portati: ma l’Amm sa bene quale è il livello di indipendenza e di autonomia dei Magistrati italiani, e non perdiamo l’occasione di ricordarlo, non certo a noi stessi.
Magistrati e avvocati sono spesso accomunati proprio dagli attacchi per la loro attività, soprattutto quando ispirata alla tutela delle garanzie: una loro “alleanza culturale” può favorire anche un diverso orientamento nell’opinione pubblica?
La giurisdizione è una funzione essenziale della Repubblica, concepita per la tutela dei diritti e delle libertà; la funzione della difesa, anch’essa costituzionalmente protetta, è elemento essenziale perché la giurisdizione abbia una piena connotazione democratica. Nella fisiologica diversità dei ruoli, esiste un irrinunciabile terreno comune, che è la difesa dei princìpi costituzionali, che dovrebbe prescindere sempre dal gradimento, oppure no, delle decisioni. La comune difesa delle regole e dei princìpi fondamentali dell’ordinamento potrebbe giovare certamente alla crescita di una cultura garantista, che non siano i vuoti richiami ad essa che in modo pericolosamente oscillante si fanno in occasione di questa o quella delle tante vicende politico- giudiziarie.
Qualora la fine del lockdown favorisse un aumento dei contagi anche nelle carceri, crede che il sistema penitenziario sarebbe in grado di fronteggiare l’emergenza?
Difficile rispondere a questa domanda senza avere l’aggiornamento attuale della situazione, che muove però da un pregresso sovraffollamento, più volte ricordato. I documenti della magistratura di sorveglianza e molte richieste provenute da loro anche in occasione di tavoli tecnici auspicano una riduzione della popolazione carceraria e indicano una serie di possibili misure che non muovono da una generica “indulgenza”, ma da una seria analisi della situazione e delle possibili evoluzioni. È una materia complessa, che dovrebbe essere sottratta alla strumentale lettura politica, e tenere conto di plurime sollecitazioni anche di fonte europea. Diciamo che ad emergenza finita, una delle priorità è affrontare la questione del carcere, e sottrarre la verifica delle condizioni complessive in cui versano i detenuti alla contingenza di questa emergenza, o di altre future, nelle quali è naturalmente più difficile compiere scelte meditate e profonde.