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Legge contro l'omofobia
La legge contro l'omofobia approda oggi nell'Aula della Camera dopo ventiquattro anni di tentativi andati a vuoto. Il primo tentativo di un testo per arginare le discriminazioni e le violenze fondate su sesso e orientamento sessuale fu infatti affidato nel 1999 ad un relatore cattolico, il deputato del Ppi Paolo Palma, che fu incaricato di tessere rapporti con la Cei. Il testo del ddl Zan, dal nome del relatore del Pd che l’ha presentata a inizio legislatura, è stato approvato dalla maggioranza in commissione Giustizia, con il parere favorevole della Affari costituzionali ma la netta contrarietà di Lega, Fdi e parte di Fi che promettono ancora battaglia. Anche dopo gli ultimi accordi, che prevedono di attenuare il coinvolgimento delle scuole nelle campagne di sensibilizzazione sul fenomeno e di inserire la cosiddetta «clausola salva-idee», a tutela della libera espressione di opinioni e convincimenti. Il disegno di legge, infatti, punta a perseguire non la propaganda, ma gli atti violenti e l’istigazione a commettere atti discriminatori di stampo omotrasfobico. Nel testo, per l’esattezza, si parla di «genere, identità di genere, sesso, orientamento sessuale», ma la maggioranza è pronta a valutare in Aula una «definizione più precisa», anche per venire incontro alle obiezioni delle associazioni femministe. Il ddl interviene su due punti del codice penale (604-bis e 604-ter), estendendo alla discriminazione per orientamento sessuale le pene da uno a quattro anni di reclusione come per quelle razziali, etniche e religiose, previste dalla Legge Mancino. Legge, peraltro, molto discussa negli ultimi anni, al punto che l’ex ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana (Lega), minacciava di abrogarla. Non a caso, le novità promosse da Zan hanno provocato l’immediata fronda degli ambienti più conservatori, compresi i vertici della Cei che temono il contrasto ad «una legittima opinione», con «derive liberticide». Ma il testo, attraverso una precisa scelta giuridica, lascia intatta la Legge Mancino nella parte che tutela la questione razziale dal reato di propaganda (fondato sulla supremazia e l’odio etnico), escludendo invece la comunità Lgbt che viene difesa solo in caso di «istigazione a commettere» o commissione diretta di atti discriminatori. La Lega, però, non ci sta. «L’Italia è un Paese che non discrimina», taglia corto Matteo Salvini, determinato a contrastare con Fdi il ddl in Aula, mentre Fi, formalmente ostile, ha lasciato libertà di coscienza ai deputati.