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Carlo Calenda e Matteo Renzi
È questione di ore, e poi Carlo Calenda, più che Matteo Renzi, dovrà decidere il da farsi. Cioè se tornare al «Calenda uno», per dirla con le parole dello stesso leader di Iv, cioè quello che lo considerava «il miglior presidente del Consiglio della storia», oppure continuare con il copione del «Calenda due», cioè quello che lo reputa «un mostro». Ormai le truppe renziane attendono solo l’ordine, la formazione è già schierata: Maria Elena Boschi capogruppo alla Camera, Enrico Borghi capogruppo al Senato. E a quel punto, cioè all’inizio della prossima settimana, i giochi saranno fatti. È per questo che il leader di Azione non ha più molto tempo, e la richiesta è chiara: rimangiarsi quanto detto sull’indisponibilità a formare una lista unica alle Europee con Iv. E di conseguenza lavorare perché questo accada. La resa dei conti è prevista in due battute: lunedì sera l’incontro tra i senatori del terzo polo, martedì quello tra i deputati. Il faccia a faccia di palazzo Madama era previsto domani, ma da Azione hanno chiesto di spostare la data e la capogruppo renziana, Lella Paita ha accettato, non senza polemica.
«Seguire i cambi di opinione di Carlo Calenda richiede la pazienza di Giobbe - fa sapere Paita - Trovo abbastanza cinico che si citi la questione alluvione come motivazione per rinviare la riunione: martedì sera quando i nostri cuori e la nostra attenzione erano concentrati sulla Romagna, Calenda su La7 attaccava Renzi in studio con Floris e Bersani, ma ognuno risponde delle sue scelte».
Ma Calenda sta provando in qualche modo a contrattaccare, ad esempio cercando senatori per formare anch’egli un gruppo autonomo (gliene mancano due per arrivare a sei, soglia minima già raggiunta da Iv con l’arrivo di Borghi dal Pd). Ieri l’ex ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha catalogato a «gossip» le voci che la vedrebbero accasarsi tra i banchi di Azione, mentre il presunto invito, definito da fonti calendiane «destituito di fondamento» è stato comunque rispedito al mittente anche da Sud chiama Nord, la formazione dell’ex sindaco di Messina, Cateno De Luca, che alle scorse elezioni ha eletto la senatrice Dafne Musolino. «Leggo che Calenda sarebbe alla ricerca di senatori per fare il suo gruppo al Senato e starebbe corteggiando la nostra senatrice Dafne Musolino - ha spiegato ieri De Luca - Voglio essere molto chiaro: non siamo dei “tappabuchi”, come ho detto già in passato stiamo lavorando come Sud chiama Nord alle prossime elezioni Europee e dialoghiamo solo con chi ha in mente progetti politici seri che ci consentano di valorizzare il nostro brand». E siamo da capo.
L’appuntamento è comunque all’inizio della prossima settimana, in una tre giorni che per gli appassionati del tema (pochi, almeno a giudicare dai voti ottenuti alle Amministrative) vedrà il terzo polo confrontarsi per tre giorni di fila. Dopo le riunioni di lunedì e martedì sarà infatti la volta, mercoledì, dell’incontro organizzato da Renew Europe a Roma, al quale si stanno preparando non solo Azione e Iv ma anche le altre formazioni di centro riformista. «La spirale di polemica sempre più aspra avviatasi tra le forze parlamentari liberaldemocratiche e riformatrici è irragionevole e distruttiva, non ha fondamento in incomponibili divergenze programmatiche e mette a sempre più serio rischio il comune obiettivo di impegnarsi per estendere l’area di consenso a principi e riforme che in Italia non sono patrimonio né dell’attuale destra né dell’odierna sinistra», spiegano i fondatori di LibDem (Lde) Giuseppe Benedetto (presidente della fondazione Einaudi), Sandro Gozi (Renew Europe), Alessandro De Nicola e Oscar Giannino, chiedendo che i gruppi rimangano uniti e anzi vengano allargati a + Europa e altri.
Ma il dado sembra ormai tratto. Certo una ricomposizione, o meglio una non rottura per quanto riguarda i gruppi, è ancora possibile, ma anche dovesse verificarsi un epilogo di questo genere la fiducia reciproca è venuta male. E non da ora, visto che già alla fine dello scorso anno, con i primi risultati locali al di sotto delle aspettative, il progetto che pure aveva ottenuto oltre due milioni di voti alle Politiche era cominciato a scricchiolare. Fino agli screzi personali delle ultime settimane tra Renzi e Calenda e al fuggi fuggi generale da Azione, spesso verso Italia viva, che sta portando alla rottura definitiva tra i due.