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Dopo aver indicato al suo partito la «terza via» per le elezioni regionali, ovvero la corsa solitaria in Emilia Romagna e Calabria, Luigi Di Maio pensava di aver chiuso il derby tutto grillino tra sostenitori delle intese col Pd e fanatici dell’autosufficienza. «Lo statuto» non consente al Movimento di sostenere candidati di altri partiti, era l’asso nella manica sfoderato dal capo politico davanti a portavoce e attivisti bolognesi per porre fine a ogni discussione. Ma così non è stato.
Perché a contestare il ragionamento del leader ci sono pezzi da novanta del Movimento, come Roberta Lombardi, considerata la pioniera dell’alleanza coi dem in Parlamento. «Secondo le nostre regole, da statuto non possiamo iscrivere al M5S esponenti di altre forze politiche o di associazioni che abbiano finalità diverse da quelle del Movimento», spiega la prima capogruppo alla Camera della storia pentastellata. «I regolamenti delle candidature invece vengono portati avanti dal capo politico elezione per elezione, possono cambiare da una regione all’altra», argomenta Lombardi.
«Probabilmente Di Maio si riferiva al combinato disposto tra lo statuto e i regolamenti: si prende una norma presa dallo statuto, molto difficile da modificare, e si combina con requisiti previsti dal regolamento che invece viene approvato a ogni competizione elettorale», insiste. Per l’attuale capogruppo M5S alla Regione Lazio non ci sarebbe nulla di male a proseguire a livello locale l’esperienza di governo nazionale. Perché dopo aver provato la Lega e il Pd, i grillini devono decidere cosa vogliono «fare da grandi».
Per Lombardi, «è evidente» che i valori del Movimento siano più conciliabili con quelli del «centro sinistra». Ma visto che non tutti la pensano allo stesso modo, non resta che convocare gli iscritti su Rousseau e chiedere «come partecipiamo» alle Regionali emiliane: Soli o in coalizione?
Il derby delle stelle non è ancora finito.