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Fabrizio Barca
Mentre il Pd rischia di avvitarsi sul congresso per eleggere il nuovo segretario, incombono gli appuntamenti con le elezioni regionali in Lombardia e Lazio. E i dem che, pur tra mille smentite, stanno discutendo di un possibile rinvio delle primarie fissate per il 19 febbraio, temono un nuovo flop elettorale.
La strategia del centrosinistra non pare mutata di una virgola rispetto alle Politiche del 25 settembre: divisioni a non finire, quasi a voler favorire un centrodestra che riesce sempre a compattarsi.
E se in Lombardia è avvenuto il miracolo dell’accordo tra Pd e M5S sul nome di Pierfrancesco Majorino, ma con il Terzo Polo che sostiene Letiza Moratti, nel Lazio, dove i pentastellati hanno da sempre un peso specifico importante, dem e grillini si presenteranno nuovamente divisi. Il Pd, stavolta insieme a Calenda, sostiene Alessio D’Amato, mentre Giuseppe Conte ha lanciato per i grillini il nome di Donatella Bianchi. E poiché la sfida sarà con il candidato del centrodestra, indicato da Fdi, Francesco Rocca, in tanti stanno cominciando a parlare di un nuovo “suicidio politico” dell’area progressista che, unita, avrebbe concrete possibilità di vittoria. A cominciare è stato l’ex ministro dem Fabrizio Barca che, insieme ad altri esponenti di area progressista, compreso il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi, ha elaborato un vero e proprio appello all’unità.
«La sinistra, i progressisti e gli ambientalisti hanno rinunciato a governare il Lazio. La scelta incomprensibile di presentarsi divisi contro il candidato dell’intero centrodestra Francesco Rocca rende sostanzialmente inutile la competizione elettorale del 12 febbraio nella Regione Lazio. E in qualche caso chi ha preso questa decisione si prepara persino a festeggiare cinicamente la propria sconfitta - si legge nella nota- appello fin qui sottoscritta da Giorgio Parisi, Fabrizio Barca, Luciana Castellina, Christian Raimo, Tomaso Montanari. - Questa scommessa elettorale autolesionista sarà però pagata da cittadine e cittadini del Lazio che vedono un’intera classe dirigente lasciare alla destra settori chiave come la sanità pubblica, l’ambiente, i trasporti, la formazione, il welfare. Per di più, il voto nel Lazio per ammissione della stessa presidente del consiglio ha valenza nazionale: rappresenta una prima prova politica per il governo Meloni e dunque un’occasione per cominciare ad arginare le destre».
«Per quale motivo, come elettrici ed elettori, dovremmo sostenere questa strategia che ha già scelto di perdere in nome di calcoli personali? Siamo consapevoli del fatto che il tempo stringa - conclude l’appello Sosteniamo tuttavia che se i democratici, i progressisti e gli ambientalisti rinunceranno a percorsi individuali e autoreferenziali e se faranno un confronto acceso, informato, aperti e ragionevole, sapranno trovare la convergenza su un programma essenziale e su una rosa di figure significative per una candidatura condivisa e allargata, come richiedono le sfide sociali che si trovano davanti. In questo modo potranno recuperare credibilità e consenso».
Il tempo, però, stringe e in pochi credono che questo appello possa arrivare all’obiettivo. Del resto sul Lazio la linea tenuta da Giuseppe Conte è stata chiara fin dal principio: non ha mai cercato un accordo con il Pd, così come è avvenuto in Lombardia. Il motivo, almeno dietro le quinte, è chiaro: far perdere ai dem una Regione simbolo e scatenare ancora più caos in vista del congresso che dovrebbe celebrarsi qualche settimana dopo. Con un’altra sconfitta da archiviare, tenere dritta la rotta, per chiunque dovesse essere il futuro segretario nazionale, diventerebbe impresa ancora più ardua. Il Lazio, peraltro, con una vittoria del centrodestra cambierebbe schieramento al governo, dopo la gestione di Nicola Zingaretti, per una debacle ancora più dolorosa. E con un Pd già in calo nei sondaggi e ulteriormente infiacchito da eventuali risultati negativi alle urne, per il M5S e l’avvocato del popolo si aprirebbero autostrade per diventare punto di riferimento per l’intera area progressista.
Il piano di Conte era già chiaro dall’estate, quando con una campagna elettorale imperniata sulla difesa del reddito di cittadinanza, ha rimontato consensi e indebolito i dem che hanno pagato cara la decisione di salutare quello che fu il “campo largo”, correndo in solitaria senza Renzi e Calenda e senza Cinque Stelle. La storia, con le dovute differenze, si potrebbe ripetere nel Lazio con inevitabili conseguenze sul percorso congressuale che, appena una settimana dopo il voto per le regionali, si dovrebbe chiudere con le primarie.