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«Piena convergenza con Zingaretti». «Un positivo incontro di chiarimento dopo le incomprensioni». Dopo giorni di gelo, da Palazzo Chigi e dal Nazareno provano a usare toni pacati per distendere gli animi. Ma è stato necessario un faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e il segretario del Pd per archiviare, almeno momentaneamente, l’acredine. Sul piatto sono ancora troppi i nodi irrisolti della maggioranza: dal decreto Semplificazioni ( con la contestata norma sugli appalti), alla legge elettorale da riscrivere ( ora calendarizzata per il 27 luglio), fino ai tanto detestati decreti Sicurezza targati Matteo Salvini che i dem vorrebbero cancellare in fretta. E sullo sfondo: le divisioni sul Mes, per ora congelate, ad appesantire ulteriormente il confronto.
Perché dopo aver assecondato per mesi la visione pentastellata, ora i dem passano alla cassa a riscuotere la loro parte, come stabilito dai patti di governo. Il Pd non ha più intenzione di attendere e preme il piede sull’acceleratore come condizione della tregua. Comincerà dunque lunedì 27 luglio, alla Camera, la discussione generale sulle proposte di legge sulla legge elettorale. È la linea “imposta” da Zingaretti e compagni alla conferenza dei capigruppo. «C’è un accordo di maggioranza, lavoriamo perchè sia rispettata l’intesa», mette in chiaro il capogruppo del Pd a Montecitorio, Graziano Delrio. Secondo l’intesa, il taglio dei parlamentari, «sarebbe stato accompagnato dalla modifica della legge elettorale per evitare squilibri istituzionali», ricorda l’esponente dem, sottolineando come il suo partito sia al lavoro per far rispettare gli accordi raggiunti su un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento che «avrebbe un effetto simil maggioritario». Obiettivo dichiarato: far approvare la nuova legge elettorale «prima di agosto», spiega il dem Emanuele Fiano.
Nicola Zingaretti teme l’immobilismo del governo e mette Conte sotto pressione per non rimanere in un pantano pericoloso. Ma Italia Viva non è affatto convinta che con l’emergenza ancora in corso concentrarsi sulla legge elettorale sia prioritario. E con Davide Faraone ammonisce: «Siamo in un momento in cui c’è da pensare a come far ripartire il paese, in cui occuparsi di creare lavoro ed occupazione in vista di un autunno caldissimo», dice il capo dei renziani al Senato. «Se noi ponessimo adesso - come priorità del governo- la legge elettorale, la gente giustamente ci verrebbe a prendere coi forconi». A replicare ci pensa Andrea Orlando, tra i più convinti sostenitori della riforma tra le file del Pd. «Credo che si possano fare due cose alla volta», spiega l’ex ministro della Giustizia. «Rilanciare il paese e fare una legge elettorale lievemente migliore di quella attuale, evitando che milioni di italiani siano sotto rappresentanti».
Il premier, dal canto suo, è pronto a tendere la mano ai ma chiede in cambio agli alleati di rimuovere gli steccati alzati sul decreto Semplificazioni, quello che Conte definisce «la madre di tutte le riforme». L’avvocato del popolo ha in testa «il modello Genova» per la “ricostruzione” post Covid e chiede a Zingaretti, perplesso sulle modifiche al codice degli appalti, di osare. «Ci saranno presidi rafforzati di legalità, anche con protocolli antimafia», assicura il presidente del Consiglio. «Rafforzeremo i controlli preventivi e repressivi, ma non possiamo permetterci di procedere lentamente per paura dell’illegalità. Dobbiamo rafforzare i presidi di legalità e correre. Abbiamo 18- 19 miliardi di lavori bloccati», insiste Conte, che in mattinata aveva chiarito agli alleati, rinuniti in vertice di maggioranza, di non aver alcuna intenzione di portare al Cdm di oggi un testo annacquato. «Il Pd è il primo sostenitore della sburocratizzazione dello Stato e della semplificazione», replicano a stretto giro gli alleati, aprendo al dialogo. «Rispettando le autonomie dei territori è giusto provare a costruire progetti unitari e condivisi nelle regioni». Ma ad alimentare le tensioni interviene anche il confronto sulle imminenti Regionali, che vedranno Pd e Movimento 5 Stelle correre separati in quasi tutti i territori. I dem temono una disfatta elettorale: un 4 a 2 per il centrodestra che manderebbe in crisi gli equilibri di maggioranza. Da settimane il Nazareno chiede ai grillini uno sforzo collaborativo per non cedere al centrodestra le Regioni già amministrate dal centrosinistra e provare a strappare a Toti la Liguria. Ma l’intesa sembra impossibile. troppo profonde le distanze tra i partiti e troppo complicata la trattativa sui candidati.
Ed ecco che a sorpresa Conte entra a gamba tesa nel confronto tra le parti, dismettendo er una volta i panni dell’arbitro. «Non voglio forzare le valutazioni delle singole forze politiche», remette il premier. «Mi chiedo: Possibile non trovare un momento di sintesi agli appuntamenti regionali? Sarebbe una sconfitta per tutti, anche per me, se non si trova un modo per fare un passo avanti. Basterebbe mettere da parte le singole premure. Ci vuole coraggio e cogliere un obiettivo comune», conclude il premier, spiazzando forse Crimi e Di Maio.
Ma l’obiettivo comune non si trova per strada, si costruisce. E il tempo a disposizione sta per scadere.