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I dem romani rispolverano le primarie e lo mettono nero su bianco, approvando il nuovo Statuto del Partito Democratico di Roma che, all’articolo 16, prevede la consultazione aperta per scegliere il nuovo sindaco e i minisindaci dei Municipi capitolini. Almeno una parte della rotta di avvicinamento alle comunali 2021, dunque, è segnata: «Le elezioni primarie per la carica di Sindaco e per la carica di presidente di municipio sono indette entro il 30 settembre e si tengono entro il 30 novembre dell’anno che precede la scadenza elettorale istituzionale», recita il nuovo statuto. Stabilita la roadmap, sono già iniziate le manovre sotterranee per il post-Raggi: scartata - fino a prova contraria - qualsiasi ipotesi di accordo sulla falsariga del governo giallorosso (come dimostra la durissima opposizione in Aula Giulio Cesare sulla questione rifiuti), i nomi sul tavolo sono parecchi anche se tutti si guardano bene dall’apparire interessati. Internamente scalpita la consigliera regionale Michela di Biase, ma dalle fila del Pd nazionale si rincorrono i nomi di Marianna Madia, Roberto Morassut e addirittura Paolo Gentiloni. Outsider di lusso, il lucignolo Carlo Calenda. Unica certezza, dunque, che il candidato sindaco si sceglierà con le primarie. Modalità che, almeno per le ultime scadenze elettorali, il Pd nazionale ha silenziosamente archiviato: senza citare i casi particolari di Umbria ed Emilia, in Calabria il totonomi per il candidato governatore è andato avanti per mesi e alla fine il successore di Oliverio è stato scelto dai vertici. I malpensanti riflettono sul fatto che questa modalità nasconda il fatto che nessuno, oggi, abbia la legittimazione sufficiente ad imporsi e dunque in questo modo tutti si sgravino di una fetta di responsabilità. Chi ancora crede nel modello veltroniano, invece, vede questo percorso a tappe - con primarie e poi assemblea programmatica - come la via per ritrovare feeling con una città ormai diffidente nei confronti della politica. A sorprendere, tuttavia, è anche il dato politico dietro il voto romano: dopo una stagione di lunghi coltelli dentro il Pd capitolino, con un tentativo quasi andato in porto di defenestrare il segretario ex renziano Andrea Casu, il nuovo Statuto (con emendamenti proposti dalla segreteria “allargata” alla minoranza) è stato ora votato quasi all’unanimità, con 4 astenuti). Una pax romana certo facilitata dal clima precongressuale, ma comunque «un mezzo miracolo», si ripete nella segreteria, con un Pd romano che dopo la tempesta sembra aver ritrovato, se non la tranquillità, almeno una direzione.