PHOTO
Le europee si avvicinano, che confronto sarà? Tra europeisti e anti- europeisti? Sarà un confronto decisivo tra chi vuole difendere e cambiare l'Europa e chi, invece, la vuole distruggere. I sovranisti invocano una illusione ed anche una sciagura: che i problemi si risolvono contro e senza l'Europa. È vero il contrario. L'Italia da sola sarebbe un fuscello al vento dei grandi mutamenti determinati dai nuovi, potenti e aggressivi protagonisti del mondo. Solo l'Europa ci può dare forza e ci può salvare. Naturalmente un'Europa in grado di imboccare una nuova strada.
Quali prospettive si confronteranno? La prospettiva che dobbiamo indicare è quella di una Unione che chiuda con la stagione dell'austerità che ha fatto soffrire tanti cittadini europei. A partire da quelli greci. Che di nuovo possa incoraggiare politiche espansive indirizzate all'occupazione, soprattutto giovanile; alla cultura, all'innovazione, alla scienza; alle grandi infrastrutture transnazionali; ad una maggiore giustizia con il sostegno anche a standard sociali minimi e civili. Per fare questo occorre una maggiore integrazione circa le politiche della difesa, del fisco, del bilancio, sociali, della ricerca e della formazione. Deve nascere una sorta di patriottismo europeo, che riscopra la radice più profonda della nostra storia migliore; la fiducia nel futuro e il reciproco nutrimento tra i popoli con una visione fiduciosa degli esseri umani; in quanto protagonisti e artefici della loro vita e di un progetto di miglioramento della società. D'altra parte con i nostri avversari c'è la disintegrazione, la chiusura in sé stessi, l'odio e la rabbia verso l'altro. Credo che alle prossime elezioni non ci sia solo in gioco un indirizzo politico, ma una scelta strategica, ideale; direi persino di civiltà.
Quanto peserà la questione migratoria? La questione migratoria peserà. Salvini con cinismo cerca di distrarre l'opinione pubblica dai fallimenti evidenti del suo governo, radicalizzando il tema degli stranieri, in fuga dai loro Paesi. Ma credo che stia esagerando al punto di determinare una reazione ampia di sdegno. Un conto è discutere come regolare il fenomeno, come combattere gli scafisti e l'immigrazione clandestina, come integrare tante persone, la maggior parte indispensabili per lo sviluppo del nostro Paese. Altra cosa è rifiutare quell'atto spontaneo e moralmente obbligato di salvataggio di vite umane che ti stanno di fronte, che invocano aiuto guardandoti negli occhi. Non avere empatia in questo caso, non è un errore politico, ma segnala e allude a un disprezzo tale della vita che inevitabilmente conformerà il tuo modo di pensare in tutti i campi sui quali sei chiamato a decidere.
Il mondo progressista sarà pronto? Nel mondo progressista e democratico c'è un fermento. C'è coscienza che occorre una mobilitazione diversa dal passato. Sono già emersi appelli e iniziative positive che stanno scuotendo l'opinione pubblica e che sollevano l'allarme rispetto ad un ritorno indietro. Anche nella delegazione del Pd al Parlamento europeo c'è stata una discussione unitaria e impegnata. Nel corso di questa legislatura come parlamentari europei si è lottato bene e si sono ottenuti importanti risultati. Faccio solo l'esempio degli spazi conquistati sugli investimenti e sulla flessibilità. Parole negli anni passati impronunciabili. Ma è un lavoro che dovrà continuare. L'Europa di oggi ha tradito molte aspettative che erano alla base del suo progetto. E va riformata anche sul piano istituzionale e democratico. Occorre eleggere direttamente il presidente della Commissione, dare centralità al Parlamento, superare il metodo intergovernativo che produce veti e lentezze. I popoli devono sentire l'Europa come cosa loro e non in un corpo estraneo che decide con meccanismi oscuri e lontani.
Il Pd si farà trovare pronto? Spero che i tre candidati che andranno alle primarie: Zingaretti, Martina e Giachetti possano convergere su una piattaforma comune sull'Europa. Sarebbe un grande segnale di unità del Pd su una questione fondamentale per il nostro futuro. E l'ultimo pezzo della nostra campagna congressuale si può trasformare, oltre che in una competizione su programmi diversi, in una iniziativa di massa di tutta le nostre forze per ottenere un grande risultato nel voto del 26 maggio.
Sul fronte italiano, come giudica l’iniziativa di Calenda? Calenda, come altri, ha positivamente mosso l'albero. Per quanto riguarda le scelte del Pd, spetterà al nuovo segretario valutare l'insieme dei contributi in campo e avanzare una proposta aperta e unitaria sulla base di un programma chiaro sul quale si verificheranno le alleanze possibili. Vanno rispettate le decisioni di migliaia di donne e uomini che si stanno impegnando in un confronto congressuale che in questi mesi ci ha fatto crescere. Francamente avverto l'inizio di un nuovo clima. Nel campo democratico il Pd rimane l'ultima ancora cui aggrapparsi per contrastare un governo per metà incompetente e per metà canaglia.
Il campo largo da Macron a Tsipras di cui si discuteva mesi fa è ormai archiviato? La mia convinzione è che al di là delle liste che si presenteranno, il vero tema è che questo ampio fronte dovrà ritrovarsi unito nel Parlamento europeo per contrastare le forze populiste, nazionaliste e di destra. Il metodo elettorale è proporzionale; l’assetto con il quale si combatte deve essere, per questo, limpido nella proposta di ognuno ed evitare ammucchiate indistinte e generiche che sarebbero un grande regalo ai nostri avversari.
Considera rilevante il fatto di correre o meno con il simbolo Pd? Sono affezionato al simbolo del Pd. Ma se una proposta di cui il Pd è motore principale dovesse mobilitare un numero grande di associazioni, un pezzo significativo di società civile, di energie politiche e intellettuali, insomma un campo largo di sinistra e democratico e se tutto ciò richiedesse un logo più inclusivo rispetto a quello di un solo partito, non rinuncerei ad un profilo unitarioper difendere un nome, anche se a me tanto caro. Difenderei la cosa: l’ampiezza dei nostri confini a partire da un baricentro saldo che ci permetta di riparlare alle persone e di farci carico sia delle loro speranze che delle loro sofferenze.