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Forse dal ginepraio del Tav il governo, con la mediazione del premier Conte che si rivolge a Francia e Ue, verrà fuori più rafforzato. O forse, al contrario, la divaricazione tra M5S e Lega segnerà la sua fine: ed è lo scenario sul quale tanti scommettono. C’è però un risvolto che viene trascurato e che invece proprio lo scontro nella maggioranza evidenzia, e che concerne l’assetto complessivo di sistema della politica italiana. Una roba grossa, insomma. E decisiva.
Per capirlo, bisogna armarsi di fantasia, calcarsi in testa il cappellone boero da esploratori alla Indiana Jones e addentrarsi nell’allucinata paradossalità di una situazione che sembra uno scioglilingua: il Tav si deve fare, se non si fa c’è la crisi ma la crisi non si può fare.
Mettiamo invece che la crisi ci sia, e che a provocarla - assieme a quella di Salvini - sia l’intransigenza dei Cinquestelle, impossibilitati a cedere su una materia identitaria troppo forte. Poiché altre maggioranze fuori dal perimetro gialloverde non sono possibili, si va ad elezioni anticipate. Mettiamo che il MoVimento, a dispetto di tutti i sondaggi, mantenga la sua forza elettorale, collocandosi intorno al 30 per cento, e che, di conseguenza, Luigi Di Maio ritrovi intatta la sua leadership. Cosa può succedere a quel punto? E’ evidente che rifare l’alleanza con la Lega risulterebbe tanto contraddittorio quanto impossibile. Ragion per cui i grillini non potrebbero che volgere lo sguardo al fronte opposto, ossia al Pd.
Per ritrovarsi tuttavia esattamente nel punto in cui sono ora: dover sottoscrivere un altro Contratto di governo con una forza politica che vuole il Tav ancor più di quanto lo voglia la Lega. Un girotondo, insomma; uno sforzo inane e politicamente improduttivo. Se è così, l’insistenza del ministro dello Sviluppo sul fatto che comunque il governo Conte non rischia, diventa più comprensibile.
Allo stesso tempo però, ed è questo il punto sotteso, se lo scenario descritto si imponesse, emergerebbe in tutta la sua corposità la caratteristica peculiare e primigenia dei Cinquestelle: l’impraticabilità di stabilire qualsiasi alleanza politica e, conseguenza obbligata, l’inevitabilità di dover procedere da soli. Il che, però, significa anche condanna all’isolamento e rischio di irrilevanza visto che nessuna forza politica da sola può immaginare di essere autosufficiente in termini di seggi parlamentari: l’intera storia politica italiana dal dopoguerra ad oggi, infatti, lo esclude. In altri termini si realizzerebbe la previsione di Beppe Grillo in base alla quale l’M5S non deve andare al governo ma essere sempre e comunque forza di opposizione, pungolo per il sistema ma ben al di fuori di ogni possibile “contaminazione”.
E’ davvero questo il futuro di quella che, comunque la si rigiri, attualmente è la più grande forza politica italiana? Difficile da dirsi. Però non si tratta di uno scenario del tutto cervellotico, soprattutto in considerazione che i tempi dei cicli politici si sono enormemente accorciati, col risultato che quel che fino a ieri appariva inossidabile, diventa oggi in un battibaleno pieno di ruggine.
Non solo. Anche dal punto di vista della Lega le cose non sono affatto semplici. Salvini ha scommesso alla grande sull’intesa con Di Maio. Sembrava all’inizio un azzardo, ma poi si è capito che il calcolo prevedeva l’erosione continua di consensi nei riguardi dell’alleato con il conseguente rovesciamento dei rapporti di forza stabiliti dalle urne elettorali.
Se però quella saldatura, che è anche di tipo generazionale, va in pezzi l’unica altra maggioranza immaginabile è quella tradizionale di centrodestra con l’attuale vicepremier che sale di grado e si siede sulla poltrona di Giuseppe Conte. Avendo a fianco da un lato l’ultra ottuagenario Silvio Berlusconi e dall’altro Giorgia Meloni erede di una tradizione politica che va dall’Msi ad Alleanza nazionale. Governare in questo perimetro sarà esercizio più facile o più difficile?
In ogni caso, se si ricompone un destra- centro di tal fatta, un processo ristrutturativo di tipo simile coinvolgerà il centro- sinistra. E dunque la contrapposizione sull’asse destra- sinistra, tipica di ogni sistema democratico, riprenderà vigore. Ognuno è libero di considerarlo un passo indietro oppure una maturazione obbligata dopo la passeggiata nel bosco populista- sovranista.