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Il nervosismo del Pd per come si stanno mettendo le cose in vista delle Regionali di settembre fuoriesce da ogni pertugio del Nazareno come una fuga di gas e tracima su giornali e tv: così che già sembra costruirsi una sorta di analisi del voto preventiva, scaricando sugli altri la responsabilità di un’eventuale sconfitta. È un tattica antica: se si vince è merito mio, se si perde è colpa degli altri. L’insistenza persino drammatica con cui Nicola Zingaretti e Dario Franceschini implorano il M5S di allearsi in Puglia, nelle Marche e in Liguria è da leggere su due livelli. Il primo è ovvio: si tratta di regioni ( le prime due in particolare) dove senza i voti grillini i candidati Pd Michele Emiliano e Maurizio Mangialardi avrebbero una vita difficile, specie il marchigiano.
Il secondo motivo è invece strategico: l'impossibilità di trasferire sul territorio l’intesa di governo nazionale dimostra che la famosa “alleanza strategica” teorizzata da Franceschini e Bettini in realtà non esiste, è fallita ancora prima di nascere. L’intesa Pd- M5s che ha fatto nascere il governo Conte ( e infatti da quest’ultimo perorata con calore in vista delle Regionali) dunque si sta dimostrando per quel che è, un accordo parlamentare e non un patto politico di respiro strategico.
Strano che uomini così esperti come il leader del Pd o il ministro della Cultura si accorgano solo adesso che i grillini non sono e non intendono essere una componente organica di un nuovo centrosinistra ma vogliono custodire una loro autonomia, peraltro a livello locale sempre bocciata dagli elettori. Ed è dunque un po’ infantile che i capi del Nazareno sbattano il piedino per terra prendendosela con il partito di Vito Crimi che rompendo l’alleanza nazionale “farebbe vincere la destra”; una polemica che si eleva poi all’ennesima potenza a proposito di Italia viva, altro partito che snobba Emiliano e Mangialardi, un’ottima occasione per mettere in croce l’ormai odiato Matteo Renzi.
E invece le cose si potrebbero vedere in modo molto diverso, e con una qualche obiettività. Da molto tempo Emiliano è considerato un candidato invotabile non solo da Renzi ma anche da tanti dem, tanto è vero che il Pd l'anno scorso tentò di candidarlo alle Europee ma la cosa per varie ragioni non andò in porto; e successivamente si cercò di candidare il senatore Dario Stèfano. Ma la Emiliano machine è a suo modo una potenza, non tale comunque da convincere Renzi che ha candidato Ivan Scalfarotto. E nelle Marche il sindaco di Senigallia Mangialardi non convince tutti.
Una colpa non essere d'accordo? O non è invece un problema del Pd mandare in pista nomi che non aggregano? Insomma, lo schema Pd- M5s- LeU ( la famosa “foto di Narni” ai tempi della clamorosa batosta in Umbria) sembra ripetibile solo in Liguria ( forse), regione che peraltro al Nazareno viene considerata proibitiva. Il punto dunque, salvo smentite dalle urne, è che al momento i nomi scelti dal Pd non sembrano capaci di aggregare altre forze; ecco perché se il Pd dovesse perdere in Puglia e Marche, dove peraltro ha governato, non sarebbe colpa del destino cinico e baro, o di Renzi o del M5s. Sarebbe colpa sua.