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Tutelare l’interesse nazionale e ridare credibilità internazionale al Paese. Sono questi i mantra d’inizio 2020, gli obiettivi di ogni mossa politica degli esponenti del governo in questo mese di gennaio. La tappa al Cairo per il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non fa eccezione. Obiettivo: continuare nel percorso, tutt’altro che agevole, che dovrebbe restituire all’Italia un ruolo di primo piano nella crisi libica.
In Egitto il capo dell’esecutivo arriva dopo aver fatto tappa in Turchia, primo sponsor del governo riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato da Al Serraj, e a una settimana dal pasticcio diplomatico del faccia a faccia avuto con il generale Haftar e saltato col premier di Tripoli. «L’incisività e la credibilità dell’Italia in politica estera è fuori discussione e con la Libia siamo in prima linea», ha avuto modo di dire Giuseppe Conte, rivendicando l’impegno che tanto lui quanto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, stanno mettendo in campo in questi giorni, in una girandola di telefonate, colloqui, viaggi e faccia a faccia. Un attivismo che, tuttavia, deve fare i conti con lo scarso peso diplomatico italiano ed europeo nel Mediterraneo di oggi e che ha in Vladimir Putin e Racep Tayyip Erdogan i veri protagonisti.
Nell’Egitto amico di Haftar Giuseppe Conte porterà le ragioni e le proposte dell’Italia. E, ovviamente, il faccia a faccia con Al Sisi sarà l’occasione per rinsaldare i legami anche economici tra Roma e il Cairo. Eppure se vogliamo veramente che, per usare le parole del presidente del Consiglio, la credibilità in politica estera dell’Italia sia fuori discussione, Giuseppe Conte dovrebbe avere la forza di pronunciare davanti al presidente egiziano il nome di Giulio Regeni e tornare a chiedere e pretendere verità e giustizia per la morte del nostro ricercatore.
Il premier arriva in Egitto a dieci giorni dal quarto anniversario del rapimento di Giulio; quattro anni vissuti fra bugie e depistaggi, inascoltati appelli e partecipate manifestazioni, dichiarazioni di politici e una mobilitazione costante dell’opinione pubblica. L’Italia dei braccialetti gialli indossati nel nome del giovane ricercatore, quella dei comuni che hanno voluto aderire alla campagna per chiedere verità e giustizia per Giulio, non ha mai mollato la presa. Pochi giorni fa, in occasione del compleanno della madre di Giulio, Paola Deffendi, attraverso i social in tanti hanno rinnovato la richiesta di una svolta sul caso Regeni.
È sul loro sostegno che possono contare i magistrati della procura di Roma che portano avanti una difficile inchiesta per far luce sulle responsabilità del regime egiziano; è sull’onda di quella mobilitazione che in Parlamento è nata la commissione d’inchiesta guidata dal deputato di LeU, Erasmo Palazzotto. Ora tocca al governo.
Il viaggio di Conte in Egitto deve essere l’occasione per ribadire, ancora una volta, che l’Italia pretende di conoscere la verità su quanto accaduto quattro anni fa e pretende che i responsabili del rapimento, delle torture e della morte di Giulio Regeni siano consegnati alla giustizia. I cultori della realpolitik storceranno il naso e, con un benaltrismo tipico della fase che stiamo vivendo, sono pronti a ricordare che non è questo il momento per aumentare la tensione con il Cairo o per aprire un fronte polemico con un Paese fondamentale per la stabilizzazione del Mediterraneo.
L’interesse nazionale prioritario è l’approvvigionamento energetico, la tutela delle nostre aziende il Libia, arginare l’integralismo islamico e rallentare i flussi di migranti. Torniamo al binomio interesse nazionale e credibilità del Paese. Ma come può essere credibile un Paese che non persegue con il massimo della determinazione la verità sulla morte di un suo cittadino? Quale interesse economico, di sicurezza, di ordine pubblico può essere anteposto alla verità sulla tragica scomparsa di uno di giovane rapito, torturato e ucciso fuori dai nostri confini con le evidenti responsabilità di un governo considerato amico? Nessuno perché sul caso Regeni è in gioco la dignità dell’Italia e di tutti gli italiani.