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Proviamo a mettere ogni figurina nella casella giusta. Giuseppe Conte sa che ora come mai è stabile nel suo ruolo, nessuna crisi all’orizzonte. Nicola Zingaretti è saldo in sella: i tentativi di rovesciarlo sono stati inghiottiti nelle urne di domenica scorsa, ora la sua leadership può dispiegarsi senza patemi. Luigi Di Maio ha vinto la scommessa del referendum sul taglio dei parlamentari. Il M5S è un mare in tempesta e tale resterà fino al voto politico. Ma la sua medaglietta il ministro degli Esteri ce l’ha appuntata sul petto, ben visibile. E nessuno potrà togliergliela. Renzi e Calenda hanno chiaro che più tardi si vota e meglio è. Devono riorganizzarsi e usare il tempo a disposizione per diventare più credibili di adesso. Altrimenti non ci sarà soglia di sbarramento che possa garantirli. Sul fronte opposto, Matteo Salvini ha compreso che coltivare spallate è illusorio e abbaiare alla luna chiedendo elezioni che non ci saranno è autolesionistico. Deve rinsaldare una primazia traballante per potersi cucire addosso l’abito giusto per il giuramento al Quirinale: calma e gesso, niente impennate. Giorgia Meloni, invece, le elezioni continua a chiederle. E’ un riflesso condizionato destinato a rientrare. Bisogna fare politica per cementare i consensi arrivati, oppure come sono giunti possono svanire. Lei e il Capitano hanno bisogno di vincere le prossime partite: elettorali a Roma, Milano e le altre città della prossima primavera; nell’azione concreta, sulle riforme in agenda. FI e il suo anziano condottiero non hanno altro compito che serrare le fila. L’emorragia di voti è continua, solo il gioco di sponda nel contenitore di centrodestra può garantire un futuro: le incursioni di qua e di là assicurano titoli sui giornali ma qundo si aprono le urne evaporano. Dunque ognuno sta al posto giusto, ognuno sa che “madamina il catalogo è questo” e non cambierà nel breve periodo. Perciò quel che appare fantapolitica è al contrario un obbligo di convenienza e al contempo un dovere verso i cittadini. Senza rinunciare al ruolo di maggioranza e oppposizione si tratta di fare ciascuno la propria parte per tessere i fili di un appeasement sul terreno più importante: la destinazione delle risorse del Recovery Fund. Quel fiume di denaro è l’ultima chance per risollevare il Paese. Sprecarla in battibecchi sarebbe imperdonabile. E gli elettori non lo perdonerebbero.