PHOTO
Ci cascano uno dopo l’altro. Il caso del dottor Norberto Confalonieri, che non si scrollerà mai più di dosso la nomea di “spezzafemori”, è come il classico drappo rosso agitato sul muso del toro o il bicchierino di sangue offerto a Dracula. E ci cascano tutti. Dopo Feltri e Gramellini, anche Gian Antonio Stella, il grande moralizzatore dei costumi altrui, il cui libro “La Casta” scritto con Sergio Rizzo, partorì senza dolore nel 2007 il movimento dell’invidia sociale che si chiamò signorilmente “vaffa day” e in seguito “Movimento Cinque Stelle”.
Sabato 15 aprile il Corriere della sera ha dedicato una pagina a un tema molto serio, che riguarda una proposta di legge (“impantanata in Senato”, si dice) che consentirebbe ai giovani chirurghi di utilizzare parti del corpo umano di persone decedute per esercitarsi prima di operare il ginocchio piuttosto che l’anca dei pazienti in vita. Anche Stella diventa voyer e punta sul bersaglio Confalonieri
la legge del “cadaver lab”, esistente in altri paesi europei come la Francia la Svizzera e l’Austria e molto sostenuta dal professor Marco D’Imporzano, presidente del centro ortopedico dell’Istituto auxologico europeo e intervistato da un giornalista abile come Gian Antonio Stella. Il medico vorrebbe parlare della “sua” legge, ma l’intervistatore pare avere altre esigenze, più giornalistiche, del giornalismo del tempo d’oggi. Non è il cronista in veste di Pubblico Ministero, come la quotidianità ci ha abituato a trangugiare insieme alla prima colazione. Questa volta è più la versione voyeuristica dell’informazione, quella che prova piacere a violare l’intimità del soggetto spiato, anzi dell’oggetto, visto che chi viene osservato ha un ruolo totalmente passivo. Gian Antonio Stella vuol parlare di Norberto Confalonieri, primario chirurgo milanese agli arre-È sti domiciliari, accusato di corruzione e turbativa d’asta. Ma di questo non si parla, ed è già un fatto positivo. Il giornalista- scrittore esordisce con un commento lapidario: Confalonieri è “in- di- fen- di- bi- le”. Perché? Per quella frase intercettata e malamente trascritta ( come si usa) a uso giornalistico- voyeuristico in cui il chirurgo racconta di aver rotto accidentalmente un femore mentre applicava una protesi e di aver rimediato usando una certa metodologia. “Così mi esercito”, aveva purtroppo aggiunto. Ad aggiustare, non a rompere. Ma passerà alla storia come quello che rompe i femori “apposta”.
Alla domanda del giornalista, il professor D’Imporzano spiega che può succedere, mettendo una protesi, di lesionare un femore. “Quando si tocca il femore di una persona anziana può capitare di sentire un cric. Allora si mettono dei cerchiaggi, ci si lavora, si aspettano venti giorni prima di far camminare il paziente e alla fine va tutto a posto”. Implacabile Gian Antonio Stella: “Pare che lui l’abbia quasi fatto apposta.. ”. “lo escludo. La battuta sull’allenamento è brutta ma escludo la volontarietà”. Lapidario. E a quel punto finalmente si può parlare del “cadaver lab”. Ci domandiamo, noi giornalisti normali, se quella pagina 20 del Corriere, ben richiamata in prima, sarebbe stata così noiosa senza il peperoncino del voyeurismo, senza quella necessità di mettere qualcuno alla berlina non per presunti reati gravi come la corruzione e la turbativa d’asta ma per una frase infelice intercettata e poi mal trascritta e peggio interpretata. Secondo noi giornalisti normali sarebbe stata comunque una bella intervista, ben scritta e ben ragionata, in difesa di una proposta di legge giusta e importante e uno stimolo per qualche parlamentare di buona volontà a sollecitarne l’estrazione dalla naftalina per farla approvare dai due rami del Parlamento.
Invece. O in toga o dietro il buco della serratura.