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Quel 6,4% accanto al nome del candidato socialista, Benoit Hamon, è un macigno che schiaccia quello che fino a ieri era il maggiore partito socialista d’Europa. Come ci si è arrivati?
Perdendo contemporaneamente da destra e da sinistra. In passato, il socialismo francese riusciva a coprire uno spazio di sinistra anche estrema, uno centrale e uno più riformista e revisionista. In questa campagna elettorale, invece, il fallimento della gestione Hollande ha portato al crollo del centro, la sinistra invece si è divisa e la parte più carismatica, quella di Melenchon, ha preso da sola il 19%. L’enorme spazio riformista lasciato scoperto, invece, è stato preso da Macron.
Per scongiurare la debàcle serviva un leader diverso?
E’ evidente che la leadership pesa, ma in parte era così anche in passato con De Gaulle e Mitterand. Nel caso del partito socialista di oggi sono venute meno sia la leadership carismatica sia una sintesi politico- culturale delle posizioni di centro e della destra e sinistra che tradizionalmente si allineavano nell’area socialista. Quando si tagliano le ali e si uccide il centro, è chiaro che ci si riduce al 6%.
Lei prima diceva che lo spazio riformista è stato coperto da Macron...
Sì. Io credo che l’erede di una posizione socialista non fissata nelle sue dimensioni tradizionali sia certamente Emmanuel Macron, che copre abbondantemente anche il centro e mette il valore aggiunto di una sua inattesa dimensione carismatica. Del resto, siamo in una situazione in cui tutti gli schemi tradizionali sono saltati.
A proposito di leader, quanto di questa sconfitta va imputato a Hollande?
Il suo quinquennio ha pesato moltissimo, perché ha fallito su tre questioni chiave: la si- curezza, la politica economica e il terreno di una revisione della politica europea. In questi anni la Francia è sempre stata una alleata subalterna della Germania, ma quella di Hollande è stata una subalternità senza vantaggi, se non l’occhio di riguardo sui parametri, visto che la Francia ha un rapporto deficit/ Pil peggiore di quello dell’Italia. Hollande ha anche commesso errori tragici nella lotta al terrorismo, soprattutto nel caso dell’attacco annunciato a Charlie Hebdo.
E’ stato il fallimento anche della struttura partito?
Sicuramente il partito non funziona più in molte situazioni. In Francia la struttura del partito socialista si è rinsecchita e ha dimostrato di non bastare più, perché il centro è collassato, la destra se n’è andata ed è rimasta la sinistra massimalista burocratica che ha saputo solo ripetere alcuni slogan. La struttura partito, d’altro canto, ha invece fatto un miracolo per il gollista Fillon. Malgrado tutti i suoi deficit di immagine, la combinazione di una sua posizione clericale e una struttura partito ancora funzionante gli hanno portato il 19%, quando era stato precognizzato il disastro.
Quali chances ha il partito socialista di riprendersi per le elezioni politiche di giugno?
Potrà esserci una ripresa solo se si cambia la leadership. Non voglio demonizzare Hamon, che si è ritrovato solo e abbandonato da tutti, ma il partito socialista, se vuole ritornare ad occupare uno spazio, deve trovare un leader, un nuovo progetto politico- culturale e rifondare una struttura di partito. Missione non dico impossibile, ma difficilissima.
Con questo fallimento in Francia, è finita l’esperienza socialista anche nel resto d’Europa?
Va fatto un discorso Paese per Paese, ma certamente non è il momento migliore per i partiti socialisti in quanto tali. L’unica a tenere davvero è la socialdemocrazia tedesca, mentre sono in crisi le due formazioni socialiste storicamente più significative: quella francese e il laburismo inglese. Anche in Inghilterra questo fallimento ha dei nomi e nasce dalla crisi di Tony Blair a causa dello schiacciamento sulla dimensione americana. E’ mancato poi un nuovo leader altrettanto carismatico per sostituirlo e i labour hanno riproposto un esercizio scolastico di estrema sinistra, nemmeno vivificato da una leadership forte. Paradossalmente, il socialismo ha avuto successo dove non è mai esistito, in America con Bernie Sanders, a dimostrazione che oggi la leadership è assolutamente decisiva.
E il socialismo in Italia, invece?
In Italia abbiamo la situazione più singolare e imbarazzante. Renzi ha vinto usando una espressione orrida come la rottamazione, ma esprimeva un’ipotesi che metteva da parte la famiglia storica post- comunista e quella democristiana per una forte esperienza riformista, che impropriamente potrebbe essere definita liberal- socialista, con una forte leadership e l’ipotesi di sfociare nel partito della Nazione. Poi l’idea è stata banalizzata, ma originariamente doveva essere una cosa molto simile a quella che oggi in Francia sta tentando di fare Macron.