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Alessandro Porro, presidente di Sos Mediterranee
«I soccorsi effettuati dalle ong sono controllati. Se davvero si ha paura di un problema di ordine pubblico legato all’immigrazione, fermare chi come noi salva vite in mare è controproducente. E dispiace che l’emergenza Covid venga utilizzata per aggredire il soccorso in mare». A dirlo al Dubbio è Alessandro Porro, presidente dell’organizzazione umanitaria Sos Mediterranee. Conte ha annunciato una stretta agli sbarchi irregolari. Come giudica queste politiche? Siamo un’associazione umanitaria e non commentiamo le dichiarazioni dei politici. Quello che cerchiamo di ricordare sempre è che, al di là di tutto, ci sono dei trattati internazionali che parlano di soccorso in mare e in questo momento non c’è nessuno che possa farlo. E che piaccia o meno, mentre viene visto, da molti, come un problema di ordine pubblico, per noi è un problema di persone che muoiono in mare. Ci dispiace vedere che l’emergenza Covid viene utilizzata come un altro motivo per aggredire il soccorso nel Mediterraneo, ma se l’Europa fosse davvero così preoccupata per la salute pubblica allora fermare le navi di soccorso, che da sempre collaborano e rispondono alle autorità internazionali, è ancora più controproducente, perché gli interventi che vengono effettuati da quelle navi sono controllati, contrariamente agli sbarchi autonomi che passano sotto il radar. Se l’obiettivo principale è la salute pubblica, perché bloccare navi che hanno medici e sanitari a bordo, procedure di sicurezza e un’attenzione ai dettagli che fa sì che le persone siano sotto controllo? Le navi di soccorso sono state sistematicamente fermate, bloccate e impossibilitate a fare il lavoro che fanno e che dovrebbero fare gli Stati. Che situazione c’è attualmente nel Mediterraneo? Non ci sono navi civili che fanno soccorso tra Libia, Italia e Tunisia, perché sono o ferme in porto per fare manutenzione e altri interventi o sono state messe in fermo amministrativo. Penso alla Sea Watch 3, penso a noi, con Ocean Viking, a quello che è successo alla fine di giugno con Mediterranea. E non c’è - e questo noi lo diciamo da cinque anni - un sistema europeo di ricerca e soccorso. Quello che succede nel Mediterraneo sfugge completamente ad ogni controllo. In passato c’erano delle operazioni militari, come Sofia, che incidentalmente facevano anche soccorso in mare, quando capitava, oggi il Mediterraneo è veramente terra di nessuno. Si parla di fermare i trafficanti ma poi si firmano accordi contraddittori con la Libia. Che situazione c’è a livello umanitario, in questo momento? L’atteggiamento generale è quello di nascondere la testa e fare finta che non parlando di immigrazione si risolva il problema. Sappiamo che negli ultimi anni ci sono state tante partenze dalla Libia e il tentativo è stato quello di legittimare la Guardia Costiera di Tripoli a fare quello che l’Europa non può fare, cioè controllare le frontiere, con la fornitura di mezzi, di formazione e finanziamenti che vengono raccontati come controllo dell’immigrazione irregolare. Ma dal punto di vista nostro e di molti sono violazioni del diritto internazionale e, soprattutto, di quel principio di non respingimento che dovrebbe tutelare chi scappa da un luogo pericoloso. Quest’anno addirittura l’accordo con la Libia è stato rinnovato senza nemmeno un dibattito parlamentare e questo ci lascia sorpresi. Sarebbe una reazione da Paese normale indignarsi, protestare o sorprendersi, per lo meno. Si ricomincia a parlare di invasione... A guardare le statistiche fornite da vari istituti di ricerca europei, si tratta di numeri che potremmo gestire, come Ue. Ma il soccorso in mare, che fino a qualche anno fa era istituzionale, ora è stato smantellato e i diritti che vengono violati non sono solo quelli delle persone che cercano di attraversare il Mediterraneo, ma sono i diritti di tutti i cittadini europei. In che modo? In mare, per noi, ci sono persone, se migranti eventualmente si capisce successivamente, e le persone possono essere cittadini africani o cittadini europei. Noi non sappiamo chi ci sia su quelle imbarcazioni, non possiamo saperlo finché non li abbiamo soccorsi. Quindi vengono violati i diritti di persone sulle quali viene messa un’etichetta senza sapere dove vanno, quali motivazioni hanno, da dove scappano, se scappano da qualcosa. È un enorme corto circuito.