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Katiuscia Marini, pur smentendo di aver ricevuto pressioni per dimettersi, non ha potuto non porre la questione del giustizialismo interno al Pd. Il nuovo corso di Zingaretti faceva bene sperare, ma la delusione è stata quasi immediata. Ancora una volta i dem per inseguire i Cinque stelle sulla cosiddetta questione morale, diventano ancora meno garantisti di loro. Luigi Di Maio, con l’eccezione di Marcello De Vito, ha difeso i suoi colpiti da un avviso di garanzia o rinviati a giudizio. Il Pd no. Eppure c’è stata la recente lezione di Ignazio Marino, costretto a dimettersi dopo le vicende giudiziarie. Ora che è stato assolto, tutti a dire che Renzi e Orfini avevano sbagliato, che avevano regalato Roma ai Cinque stelle, che la questione garantista deve essere centrale. Qualche giorno dopo, quello che valeva per Renzi e per Orfini, sembra non valere per Zingaretti che può facilmente lasciare sola una sua capace amministratrice, senza far pesare il sacrosanto principio della presunzione di innocenza.
Non si tratta di difendere questo o quella, ma di far valere un valore fondamentale e di chi capire che un nuovo centrosinistra ( se questa è la sfida di Zingaretti) non può che ripartire tagliando i ponti con la cultura giustizialista che da anni intossica la vita politica italiana. Invece ancora una volta prevale la logica di sacrificare lo stato di diritto sull’altare del capro espiatorio e della gogna. Ma così non si vince.