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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Generale Mario Mori, fondatore del Ros
Nordio ha coraggio. Molto coraggio. Ieri, per la prima volta dall’inizio del suo mandato, ancora ai primi passi eppure già movimentatissimo, si è offerto petto in fuori, verrebbe da dire, all’inevitabile e tutto sommato democratica corrida dell’Aula. Perché più che a Palazzo Madama, ieri a Montecitorio, nella replica della Relazione sullo Stato della giustizia, il guardasigilli ha affrontato non solo i brusii ma le urla dell’opposizione. Soprattutto quando ha difeso senza esitazioni, con appassionata determinazione, il generale Mario Mori. «Vi pare possibile», ha detto, «che lo Stato metta sotto processo i suoi pi fedeli servitori? Ho ringraziato la magistratura e le forze dell’ordine per la cattura di Matteo Messina Denaro, ora vorrei ricordare il fondatore dei Ros», Mori appunto, «sottoposto per 17 anni a un processo in cui, alla fine. è stato assolto con formula piena, con una carriera rovinata e senza che alcuno lo abbia risarcito. Quando si tributano ossequi al Ros, vorrei si ricordasse anche il generale Ganzer, finito in carcere e poi assolto».
Urla dai banchi dell’opposizione. «Sono fatti», dice un deputato 5 Stelle a proposito della solita costruzione sulla “trattativa”. Non serve che quei «fatti» siano stati giudicati privi di rilievo penale. È contro questi «fatti» che finiscono per prevalere, nella percezione pubblica e nella polemica politica, sull’accertamento penale, che il ministro della Giustizia su batte petto in fuori.
Ed è così che si spiega il suo ritorno, a fine relazione, sul tema delle intercettazioni. Nella sua riforma, chiarisce ancora una volta, lo strumento non verrà assolutamente messo in discussione «per la mafia, il terrorismo e naturalmente per tutti i reati satelliti a questi due fenomeni perniciosi». Ma un intervento è necessario «per evitare gli abusi grazie ai quali il materiale finisce sui giornali in modo da vulnerare l’onore di privati cittadini estranei all’indagine».
Il ministro ritiene necessaria una revisione delle norme sugli ascolti perché, spiega ai deputati, la riforma Orlando-Bonafede è sì «una legge scritta bene, così bene che per fare la matita tropo aguzza la si è fatta spezzare...». Si riferisce ai dettagli procedurali che regolano «i passaggi da pm a gip, e poi l’approdo all’udienza stralcio: tutte fasi in cui il materiale intercettato viene a conoscenza di decine di persone, ed è lì che interverremo».
Torna ancora, con una replica differita, su un’obiezione rivoltagli il giorno prima a Palazzo Madama, quando dall’opposizione gli hanno contestato che invece la riforma precedente funziona: «Non è vero: è di qualche settimana fa la diffusione di conversazioni in cui, nell’ambito di un’indagine in Veneto, il presidente della Regione», Zaia, «parla con un’altra persona estranea, come lui, all’inchiesta: il caso dimostra il fallimento di quella riforma».
Spietato, ma capace così di guadagnarsi esattamente come il giorno precedente in Senato, un sostegno esplicito che va oltre il centrodestra: a fine seduta l’aula di Montecitorio approverà con 206 voti a favore e 119 contrari la risoluzione di maggioranza favorevole al ministro. Ma passa anche, grazie ai voti della coalizione di governo, la risoluzione presentata da Italia Viva e Azione: 208 voti a favore e 116 contrari. Respinti i documenti di Pd, M5S e Verdi.
Anche se tra le richieste avanzate dai banchi dell’opposizione ce ne sono non poche destinate a trovare ascolto da parte di via Arenula: il deputato di Avs Devis Dori sollecita l’introduzione di un «unico portale telematico per tutti i tipi di processo, che favorisca la risoluzione delle criticità emerse soprattutto nel Pct». Proprio sull’efficienza, ricorda il ministro a inizio intervento, «ci concentreremo subito: è un ambito certamente non divisivo, al quale destineremo ulteriori risorse, con l’impegno a semplificare le procedure e a un investimento sulla giustizia di prossimità».
A Nordio arriva pieno sostegno anche dell’Unione Camere penali, che in un documento della giunta esprime «apprezzamento e solidarietà al ministro», con l’invito a «proseguire con coraggio sulla strada intrapresa» e l’esortazione alla «politica» affinché non ripeta «l’errore fatale compiuto oltre trent’anni fa, quando le scelte furono totalmente affidate alla magistratura. Si torni finalmente alla separazione dei poteri, la politica si riappropri orgogliosamente della propria supremazia democratica», chiede l’Ucpi, con un esplicito riferimento alla separazione delle carriere.
Proprio i penalisti tornano nel passaggio in cui il guardasigilli ricorda di «non privilegiare il punto di vista né dei pm antimafia né delle Camere penali». Ciascuno, ricorda con la già sperimentata citazione di Senofane, «vede la realtà in modo diverso, ma noi dobbiamo privilegiare l’interesse dei cittadini. Il Paese non è fatto di pm, e questo Parlamento non può essere supino ai pm». Altro sassolino che Nordio si toglie dalla scarpa dopo le critiche rivoltegli dall’Anm. Gli contestano di non parlare di giustizia e lui ribatte: «Riferire sullo Stato della giustizia vuol dire parlare anche degli errori giudiziari».
Si dissocia in fondo dagli ex colleghi anche col ddl presentato poche ore dopo in Consiglio dei ministri e che contiene alcune integrazioni (non «correttivi», si chiarisce da via Arenula) alla riforma Cartabia: gli arresti in flagranza saranno possibili, per i reati procedibili solo a querela, in attesa che la vittima denunci, e scatterà la procedibilità d’ufficio in tutti i casi in cui emerge il ricorso al metodo mafioso. Ma, come nota Enrico Costa di Azione, le novità arrivano via disegno di legge anziché per decreto: segno che Nordio, alla riforma della ministra che lo ha preceduto, non intende rinunciare.