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"Bani Walid è dove sono stata trattenuta all’inizio. Da lì siamo stati portati verso la costa per andare in Europa, ma la polizia ci ha fermati. Hanno sparato verso di noi. Ho perso il mio bambino dalla paura e dallo stress... Siamo stati portati in una prigione chiamata Tarhuna. E’disumano. Ho passato una mese là… Sono stata quasi violentata da una delle guardie. Aveva una pistola. Mi ha toccato e mi ha offerto del denaro per fare sesso con lui... Il giorno dopo sono stata trasferita nel carcere di Tripoli. Solo donne. Siamo state tutte picchiate. Due donne nigeriane e una somala sono state uccise. Ho passato due mesi prima che i contrabbandieri venissero a comprarmi. Sono stata portata in una casa privata e poi verso la costa". Questa è la testimonianza di una donna eritrea di 23 anni, raccolta a bordo della nave di ricerca e soccorso Aquarius di Medici senza Frontiere nel settembre del 2016. Parole tratte dal rapporto (Dying to reach Europe) dell’organizzazione umanitaria nel quale scorre un tragico rosario di vessazioni, soprusi e violenze subite dai migranti una volta giunti in Libia. Eppure sono le storie di chi può raccontarle, di chi è scampato a un naufragio e alla morte perché raccolto da una di quelle imbarcazioni umanitarie che si spingono fin sotto le acque libiche. Un modus operandi che sta scatenando polemiche e vere e proprie accuse da parte di Frontex. Lunedì 27 febbraio, parlando al quotidiano tedesco Die Welt, il capo dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere, Fabrice Leggeri, ha rinforzato le accuse, espresse a più riprese negli ultimi mesi, circa il ruolo che svolgono le Ong nel Mediterraneo centrale. Leggeri ha detto che il 40% delle recenti operazioni di salvataggio in mare, al largo della Libia, sono state effettuate da organizzazioni non governative, il che rende impossibile verificare l'origine dei migranti o le rotte di contrabbando visto che le Ong non collaborano. Alle organizzazioni umanitarie si addossa la responsabilità di favorire le partenze di migranti e di trasportarli come taxi, ciò presupporrebbe degli accordi con gli scafisti. Nella sua intervista, Leggeri ha aggiunto che sebbene per il diritto marittimo tutti hanno il dovere di soccorrere navi e persone in difficoltà, si deve «evitare di sostenere l'attività di reti criminali e trafficanti in Libia raccogliendo migranti sempre più vicino alla costa…Questo porta i trafficanti a forzare le persone a partire su imbarcazioni insicure con acqua e carburante insufficiente rispetto agli anni precedenti».
Le dichiarazioni del capo di Frontex hanno immediatamente suscitato un vespaio, il fuoco di fila delle risposte è stato nutrito a cominciare dal responsabile per i rifugiati dei Verdi tedeschi, Luise Amtsberg, che ha stigmatizzato le parole di Leggeri: «Il numero di morti sarebbe molto più alto senza l'impegno instancabile di organizzazioni non governative, siamo in debito con queste organizzazioni». Un caso politico dunque al quale ha fornito elementi chiari l’esponente di Msf, Aurélie Ponthieu. «E’molto preoccupante apprendere di queste critiche da parte di Frontex attraverso i media. Abbiamo chiesto un incontro e non vi è stata alcuna risposta». Poi la dichiarazione che mostra chiaramente qual è il vero motivo dello scontro: «Siamo una agenzia umanitaria, e noi effettuiamo operazioni di ricerca e soccorso, l'alternativa è che centinaia di persone muoiano per annegamento, soffocamento e disidratazione – ha precisato Ponthieu. Se aspettassimo 60 miglia al largo le imbarcazioni che passano per caso, piuttosto che andare alle aree in cui i contrabbandieri operano, ci sarebbero molti più morti». A rafforzare queste affermazioni arriva il recentissimo rapporto dell’Oim, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di migrazioni. Secondo il progetto Missing Migrants sono stati stimati 326 migranti o rifugiati morti o scomparsi da inizio 2017 al 22 febbraio, il 300% in più rispetto allo stesso periodo 2016. Una vera e propria ecatombe quasi tutta concentrata nella rotta tra Libia ed Italia dopo la chiusura del canale che portava nei Balcani. In questa situazione si inserisce l’indirizzo che il neo presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, vuole dare all' Ue nei confronti dell’immigrazione proveniente della Libia. L’Europa dopo l’accordo con il paese nord africano ha imboccato la strada di un "piano Marshall" per l'Africa al fine di contenere la migrazione. A riferirlo il giornale Die Zeit in concomitanza proprio con l’intervista al capo di Frontex. Tajani ha ribadito la necessità di istituire dei centri di raccolta sulle coste libiche che non siano «campi di concentramento e che devono disporre di attrezzature adeguate per garantire ai rifugiati condizioni dignitose, con accesso alle cure mediche sufficienti». Un piano più volte criticato dalle Ong che invece hanno ribadito l’istituzione di corridoi umanitari sicuri vista la completa disgregazione politica in Libia. Non si capisce chi dovrebbe garantire i migranti, una realtà che nemmeno Leggeri ha negato: «Allo stato attuale, non abbiamo praticamente alcun contatto a livello operativo, al fine di promuovere la protezione delle frontiere efficace. Ora stiamo contribuendo alla formazione di 60 agenti di una possibile futura guardia costiera libica. Ma questo è al massimo un inizio».