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All'inizio di giugno il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) Fatou Bansuda, ha trasmesso un dettagliato rapporto al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il contenuto non era segreto e verteva sulla situazione in Libia. «Il mio ufficio continua a raccogliere e analizzare informazioni relative a crimini gravi e diffusi, presumibilmente commessi contro i migranti che tentano di transitare attraverso la Libia». Un lavoro lungo quello che è finito sul tavolo del procuratore, un'indagine condotta «collaborando e condividendo informazioni con una rete di agenzie nazionali e internazionali». La Corte dell'Aja non ha nascosto una forte preoccupazione per ciò che sta succedendo, sul banco degli imputati c'è la Guardia Costiera di Tripoli sospettata di «crimini contro l’umanità». Al momento al vaglio degli investigatori ci sono le testimonianze dirette, rapporti ufficiali nonchè documenti e filmati. Le autorità internazionali temono che la Guardia costiera sia una parte importante del traffico di migranti. I trafficanti infatti avrebbero letteralmente coperto di dollari i marinai libici. Lo scopo è quello di far riportare indietro i migranti che partono dalle coste libiche dai guardiacoste, una volta ritornati uomini, donne e bambini vengono rinchiusi in centri governativi, a questo punto si svolgerebbero delle aste di esseri umani venduti come schiavi. «Sono sgomenta – dice Bensouda – dai credibili resoconti secondo i quali la Libia è diventata un mercato per la tratta degli esseri umani». «La situazione è terribile e inaccettabile» ha aggiunto il procuratore gambiano della Cpi. I fatti messi in fila dagli inquirenti sono molti, uno studio del Goldsmiths College (dipartimento dell'Università di Londra) ha dimostrato in un suo recente studio come i metodi della Guardia costiera libica siano «violenti e hanno portato, in alcune occasioni, al ribaltamento di barche, mettendo in pericolo la vita delle persone a bordo». Ad esempio il 23 maggio scorso i libici hanno sparato ad una imbarcazione della marina italiana, la motovedetta CP 288, alcune raffiche esplose ufficialmente per errore. Una versione che non ha convinto nessuno. La realtà infatti ha dimostrato come gli uomini di Tripoli vogliano allontanare testimoni scomodi che possano in qualche modo rendere note le modalità dei loro "salvataggi". Nelle stesse ore in cui gli italiani erano attaccati, le Ong Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranée registravano un video nel quale si vede come la Guardia costiera libica si avvicini ad alcuni barconi di migranti, ma anzichè procedere con le operazioni di salvataggio spari in aria, il panico provocato ha fatto finire in acqua una sessantina di persone. Il 30 giugno la stessa portavoce di Frontex, Izabelle Cooper, ha reso noto che i libici hanno puntato le armi anche contro navi dell'agenzia europea. Ma ad essere ad essere al centro del mirino dei guardiacoste libici sono le Ong. Contro le organizzazioni umanitarie gli episodi di violenza registrati sono innumerevoli, si va dalle minacce con le armi alle perquisizioni arbitrarie in mare, speronamenti come quelli subiti da Sea Watch nell'ottobre 2016 e nel maggio 2017, arresti come quelli subiti da due operatori della Sea Eye nel settembre 2016. Non a caso a rilanciare le accuse di Frontex contro le Ong e ad alimentare i sospetti di collusione con i trafficanti di uomini, è stata proprio la Guardia costiera libica. Nonostante ciò l'Unione europea continua a considerare la Libia un partner affidabile, durante il vertice di Parigi di domenica scorsa i ministri degli Interni di Italia, Francia, Germania, hanno siglato un accordo che prevede il potenziamento delle forze libiche e un protocollo di comportamento delle Ong. Tradotto: controlli serrati sull'attività delle organizzazioni non governative "colpevoli" di portare i migranti in Europa dopo averli salvati e nuovi soldi alla Libia. Tutto questo proprio mentre sono in arrivo per Tripoli 40milioni (complessivamente ne sono previsti 90) di euro, denaro prelevato dal Trust Fund per l’Africa e ora destinato proprio alle operazioni di coordinamento con la Guardia costiera libica e al controllo delle frontiere meridionali del paese nordafricano. Eppure nonostante tutto la Ue procede su un binario prestabilito dal quale non sembra si possa scartare in nessun modo. Il 29 giugno l’Alto rappresentante e vicepresidente della Commissione europea Federica Mogherini ha risposto a un’interrogazione parlamentare, sottoscritta da quaranta deputati europei appartenenti a differenti gruppi politici, che chiedeva conto dei piani della Commissione sulla cooperazione con la Libia in materia di migrazione. In sostanza i deputati chiedevano se, a fronte delle denunce internazionali, la Libia potesse essere considerato un paese sicuro, se l'esternalizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso costituisce, di fatto, un respingimento, e se si può troncare un rapporto di collaborazione con un paese che non ha neppure firmato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati. La risposta drella Mogherini ha glissato su molti dei quesiti posti e sembra essere contraddetta da fatti accclarati. «L'Ue non persegue né prevede il rimpatrio dagli Stati membri in Libia dei migranti e richiedenti asilo. Le misure previste intendono potenziare la capacità della Libia di controllare la propria frontiera meridionale e le proprie acque territoriali, - ha scritto il rappresentante europeo - promuovendo al tempo stesso i diritti umani. I diritti umani e un trattamento corretto dei migranti sono altresì elementi importanti della formazione prevista dall'EUNAVFOR MED operazione Sophia a favore della guardia costiera e della marina libiche, nonché della missione dell'Ue di assistenza alle frontiere (EUBAM) in Libia». Nessun accenno, nessuna considerazione dei rapporti internazionali. Non c'era che da scegliere tra alcune date per la Mogherini : 1° giugno, il gruppo di esperti sulla Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite parla di «esecuzioni, torture, deprivazione di cibo, acqua e servizi igienici. Il 19 giugno, Human Rights Watch mette in rilievo che «le forze libiche hanno esibito un atteggiamento irresponsabile, tale da mettere in pericolo le persone a cui venivano in aiuto». Il 20 giugno, il rappresentante speciale dell’ONU in Libia, Martin Kobler, ha affermato davanti alla Commissione affari esteri (AFET) del Parlamento europeo: «Sconsiglio di continuare la formazione della guardia costiera libica in assenza di un vigile controllo internazionale».