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Ma chi l'ha detto che Renzi sia deciso a far cadere il governo che lui stesso ha messo al mondo più di chiunque altro, come da voce rimbalzante da un angolo del Palazzo all'altro? E chi l'ha detto che l'ex premier abbia la scissione del Pd, certo al momento opportuno, per obiettivo e stella polare? Non che le due idee non siano realistiche, specialmente la seconda. Ma di qui a farne un progetto definito e definitivo ce ne passa.
Al contrario le ultime uscite di Renzi e più in generale l'atteggiamento assunto dall'ex premier dopo l'exploit iniziale, indicano una direzione opposta. Per certi versi bisognerebbe quasi dire che tra Renzi e Zingaretti, gli acerrimi rivali, sia scoppiata se non la pace almeno una tregua. I due, in questo momento, hanno il medesimo interesse: far durare il governo almeno sino all'elezione del prossimo presidente della Repubblica, e Renzi ha tutto l'interesse ad arrivare all'appuntamento con la notevole forza che gli consegna il controllo sui gruppi parlamentari in questa legislatura. E hanno in comune anche l'interesse a fare dell'azzardata scommessa su Conte un successo. Perché se si risolvesse in un disastro, come non è affatto escluso, a farne le spese sarebbero entrambi. La convinzione che Renzi sia già deciso a far saltare il governo in pochi mesi è certamente sbagliata. Certo, il modus operandi del ragazzo di Rignano è segnato dall'opportunismo, inteso nel senso positivo del termine, come capacità di intravedere e cogliere con la necessaria rapidità le opportunità. Dunque le sue mosse future dipenderanno in buona misura dalla situazione. Ma di certo, al momento, non cova il progetto di assassinare il governo nella prossima primavera.
Proprio la tendenza dell'ex segretario a muoversi a seconda delle circostanze spiega perché la tentazione della scissione, che per parecchi mesi è stata tangibile, si sia affievolita e non irrobustita dopo il successo dell'operazione nuova maggioranza. Levare le tende era non una scelta ma una dolorosa necessità per un leader messo all'angolo. La campagna d'agosto, che vede proprio Renzi come solo vincitore a pieno titolo insieme a Giuseppe Conte, ha proiettato l'ex premier al centro della scena, gli ha restituito molto del lustro che aveva perso con la raffica di sconfitte subìte tra il 2016 e il 2018. Insomma: fino alla fine di luglio l'eventualità di riprendere in mano il partito per Renzi era un miraggio. Oggi non lo è più e la scissione è dunque più lontana. Per lo stesso motivo Renzi ha appunto tutto l'interesse nel successo dell'operazione che porta la sua firma.
Solo che l'operazione che si sta realizzando differisce dall'idea renziana in alcuni aspetti non secondari. Non si tratta infatti di un governo istituzionale e dunque ' neutrale' in tutto tranne che nel collante antisalviniano ma di un governo politico in piena regola, il che rende la scommessa molto più ambiziosa ma anche più rischiosa per il Pd. Un governo politico, se baciato dalla concordia interna e da risultati soddisfacenti all'interno, aprirebbe quasi obbligatoriamente la strada a un'alleanza dei due partiti alle prossime elezioni politiche. La ricaduta negativa in caso di fallimento è per un governo politico molto più pesante e lo stesso infausto esito diventerebbe più probabile in un governo lottizzato tra le correnti interne del Pd e quelle, anche più numerose, dell'M5S. Ma se per Zingaretti la posta in gioco costituisce una comprensibile tentazione dato che un'intesa politica a tutto campo renderebbe possibile la vittoria anche nelle urne, per Renzi si tratta invece di una partita solo a perdere. L'alleanza strutturale con l'M5S, infatti lo taglierebbe fuori da ogni gioco all'interno del Pd.
Capita quindi che, per la seconda volta in meno di un mese, Renzi e Grillo si ritrovino sulla stessa lunghezza d'onda: governo politico di nome ma quanto più possibile tecnico nei fatti. La pensano in modo non molto diverso altre due figure chiave nella partita politica in corso: il capo dello Stato e il presidente incaricato.