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La crisi è finita. La crisi prosegue. Non è un paradosso ma la conseguenza di una crisi che si è articolata su piani diversi e nella quale alcuni aspetti sono emersi in luce persino troppo piena mentre altri sono rimasti nell'ombra. All'origine del terremoto c'è infatti una tensione crescente tra palazzo Chigi e i partiti, soprattutto il Pd, che non è affatto risolta e pare anzi destinata a esacerbarsi ancora. I termini del braccio di ferro sono noti: il Pd vuole una modifica nella struttura del governo, nella sua composizione, nel ruolo di esagerata centralità assunta da palazzo Chigi, nelle procedure ritenute troppo statiche per non dire immobili. Conte resiste. Intende limitare al massimo modifiche di sorta. La sfida si ripeterà nei prossimi giorni. Il premier ha in mente un rimpastino molto limitato: sostituzione dei ministeri lasciati vacanti ( sempre che non arrivi domani l'Udc, che verrebbe nel caso ricompensata con l'Agricoltura) spacchettamento di qualche sottosegretariato, se proprio indispensabile qualche avvicendamento concordato in questo o quel ministero. Il Pd vuole un governo Conte ter, se non di nome almeno di fatto. Renzi si è incuneato in questo squarcio, ma certo non con l'intenzione di portare a termine il ' lavoro sporco' per conto di Zingaretti e Di Maio. Se i due leader maggiori avevano il ridimensionamento di Conte per obiettivo, il Rottamatore ha moltiplicato la posta, mettendo sul tavolo la testa del premier e l'indirizzo complessivo di una maggioranza che il capo di Iv immaginava di poter modificare.
Si sa che a quel punto i leader che lo avevano silenziosamente spalleggiato si sono spaventati, hanno visto traballare la coalizione stabile che stanno cercando di costruire e hanno preferito blindare palazzo Chigi contro l'assalto del leader di Iv. La figura di Conte era già il principale collante che permetteva a l M5S di non finire come la ex Jugoslavia. La difesa del premier, nel corso della crisi, ha svolto un ruolo anche maggiore. Ha permesso di passare dalla tregua armata alla pace. Di conseguenza per i 5S evitare di rimettere a rischio gli equilibri del governo è diventata condizione essenziale per mantenere la pace appena raggiunta. Con Renzi fuori dalla maggioranza e Di Maio non più all'attacco Zingaretti è rimasto solo nella richiesta di rivedere radicalmente la struttura del governo.
C'è di più e di peggio. Conte è rimasto in sella ma non saldamente. Il suo è comunque un governo di minoranza basato sull'appoggio forse aleatorio di una ciurma di senatori ciascuno dei quali risponde solo a se stesso, oppure coalizzati in componenti del gruppo Misto fondate sull'argilla. Per il premier basta e avanza. Un voto in più è sufficiente per scavallare questa crisi: poi si vedrà di volta in volta. Tanto più che il ruolo del Parlamento, nella pandemia, è ridotto all'osso e per lo più si tratta di provvedimenti, come lo scostamento di bilancio o il dl Ristori 5, che nessuno oserebbe non votare. Certo non Iv. Ma questo per il Pd non è accettabile. Un governo di minoranza senza neppure i quarti di nobiltà garantiti dalla formazione di un gruppo politico centrista finirebbe per costare troppo quando si apriranno le urne. Per questo Zingaretti incalza: «La strada è più stretta di quanto sembri. In prospettiva non possiamo accettare tutto». Conte ha promesso di portare a termine presto la verifica. La sua intenzione sarebbe chiudere tutto nei prossimi 10 giorni senza passare per la porta stretta e pericolosa delle dimissioni, neppure adesso che la minaccia di un agguato di Renzi è svanita. Non sarà un gioco e non è affatto detto che la conclusione metterebbe davvero fine al contenzioso. Al contrario, più si avvicina il semestre bianco, con la garanzia di dribblare le temutissime elezioni anticipate, più le crepe si allargheranno.
La situazione sarebbe questa anche a fronte di una maggioranza vera ancorché ridotta all'osso. Lo sarà tanto più con un governo di minoranza perché, per quanto limitato sia in questa fase il ruolo del Parlamento, non è tuttavia cancellato e Renzi in questo tipo di manovre è un maestro.
Dunque la crisi si chiude sulla carta ma di fatto si limita a entrare in una fase diversa. Meno esplosiva ma maggiormente a rischio di paralisi. E prima o poi la contesa tra Conte e il Pd dovrà arrivare in superificie.