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Palamara
Fulmineo. Mai visto nulla di paragonabile al processo Palamara. Dopo i primi passaggi preliminari a luglio, il giudizio sull’ex presidente Anm dinanzi alla sezione disciplinare del Csm ha evocato un’efficienza spiazzante. Si concluderà oggi, con l’udienza dedicata alla discussione finale. Sentenza scontata: radiazione. L’accusa di gravi e indebite interferenze nell’attività del Consiglio troverà la strada spianata da un’istruttoria impalpabile: la tesi della Procura generale di Cassazione secondo cui Palamara, con la cena dell’hotel Champagne del maggio 2019 e altre condotte, avrebbe indebitamente cercato di eterodirigere il plenum, non ha avuto alcuna particolare occasione di contraddittorio. Alla difesa dell’ex presidente Anm, assunta da un magistrato, il consigliere di Cassazione Stefano Giaime Guizzi, è stato consentito di assumere a testi solo un paio di ufficiali di polizia giudiziaria, non a caso indicati anche nella lista dell’accusa. Strada sbarrata a oltre 100 testimoni che invece Guizzi avrebbe voluto far sfilare dinanzi al collegio di Palazzo dei Marescialli. Leader dell’associazionismo giudiziario, esponenti politici, ex consiglieri laici e togati, Tutte figure che avrebbero per forza dovuto confermare come le “interferenze” contestate a Palamara rappresentano prassi consolidate, per anni, da molti suoi colleghi. L’organo di autogoverno delle toghe si è rifiutato di confrontarsi con la realtà. Ha scelto di respingere quasi per intero la lista testi. Oggi interverranno sia Guizzi che l’avvocatura della Cassazione. Lo stesso ex leader dell’Anm dovrebbe rendere dichiarazioni spontanee. Poi arriverà la sentenza, sulla cui durezza massima non ci sono incertezze. Una vicenda che dimostra due cose. La velocità del processo: basta negare i diritti della difesa e il gioco è fatto. Induce a riflettere che un giudizio tutto interno alla magistratura abbia assunto tale natura di esperimento futurista. L’altra considerazione riguarda il rilievo che una scelta così opinabile qual è la riduzione sbrigativa del disciplinare può assumere nella crisi della magistratura. Il rischio è che l’illusione di essersi sbarazzati, con Palamara, di ogni problema, conduca l’ordine giudiziario in un imbuto ancora peggiore di quanto si potesse temere. Senza un’analisi storica, laica e disincantata, seria ma senza moralismi inutili, la cosiddetta degenerazione correntizia resterà senza risposte. Ci vorrebbe un processo lungo e approfondito come quello chiesto da Palamara.Non se n’è voluto sapere.