PHOTO
Sembra un terreno minato. Peggiore degli altri. E la giustizia in effetti lo è, se la si intende come trend nella comunicazione politica: da questo punto di vista Cinquestelle e Lega non sono mai stati così lontani. La ragione è banale: sta nell’inchiesta sull’ormai ex sottosegretario Armando Siri, in quella che lambisce il governatore Attilio Fontana in Lombardia, e nelle conseguenze pesanti sofferte sui due dossier dal partito di Matteo Salvini. Ma se per giustizia si intende il fascicolo delle riforme, quello per intenderci nelle mani del guardasigilli Alfonso Bonafede, cambia tutto. Lì non c’è rischio di dividersi. E i segnali che in questa direzione il Carroccio ha irradiato nelle ultime ore più che presi alla lettera vanno interpretati.
A partire da un passaggio in apparenza distonico, registrato tra le stesse fila leghiste. Due giorni fa, nel giro di poche ore, è prima intervenuta la titolare della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno: «Non vedo l’ora che arrivi in Consiglio dei ministri la riforma preparata dal ministro Bonafede», ha detto, «se c’è la paralisi degli investimenti dipende anche dalla lentezza della giustizia». Bongiorno è la plenipotenziaria di Salvini su processi e provvedimenti in materia giuridica: nessuno, nella Lega, è più in prima linea di lei. Le sue parole non erano tirate via a caso: si riferiva alla doppia riforma già bella e pronta, da quasi un mese, nel cassetto del guardasigilli, autore di una legge delega che prevede ritocchi sia alla procedura civile che al penale. Il tutto con un unico obiettivo: «Tagliare i tempi morti». Peraltro Bongiorno già conosce le linee generali degli interventi e sa che sono concepiti in modo razionale. Non a caso: il suo collega Bonafede li ha messi a punto dopo averne discusso a un tavolo con avvocati e magistrati. Un tavolo a sua volta doppio, uno per materia, civile e penale. Lavori condotti in un clima di serenità e rigore. Al termine dei quali tutti, ma proprio tutti, hanno riconosciuto a Bonafede capacità d’ascolto ed equilibrio nelle soluzioni trovate. Che sono risultate più che accettabili, quando non eccellenti, sia per le rappresentanze dell’avvocatura che per l’Anm.
Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. Ma c’è quella distonia di cui si diceva. E riguarda Salvini. Il quale, più o meno negli stessi minuti in cui Bongiorno quasi sollecitava Bonafede a portare le bozze a Palazzo Chigi, ha in apparenza scombinato i giochi: «Se la riforma della giustizia è pronta, Bonafede la porti in discussione: noi come Lega abbiamo le nostre idee su separazione delle carriere, dimezzamento dei tempi dei processi, certezza della pena, responsabilità anche per i giudici che sbagliano». Sembra un preavviso di conflitto, della serie: o ai testi di Bonafede si affiancano le nostre idee, o non passa niente. Ed è davvero così?
LA PAUSA PER IL VOTO
Basterà attendere il week end elettorale – e anche quello per i ballottaggi delle amministrative, magari – per avere la risposta. Perché una cosa è certa: come spiegano fonti parlamentari del Carroccio, «non se ne discute in questi ultimi sprazzi di campagna per il voto». E il motivo è chiaro: la Lega non vuole che la riforma dei processi entri nel dibattito per le Europee. Si tratterebbe di un indiscutibile vantaggio per l’alleato di governo. Ma dopo, quando il clima sarà diverso e si dovrà già cominciare a fare i conti con la futura legge di Bilancio ( che nessuno dei due soci intende sobbarcarsi con l’altro all’opposizione), le acque saranno pronte per una navigazione tranquilla. Anche della riforma Bonafede. E la Lega non porrà ostacoli.
Questo non vuol dire che il tema giustizia nel suo insieme sarà del tutto sminato. Anzi. Sulla separazione delle carriere, per esempio, le linee di Lega e Cinquestelle continueranno ad essere parallele. Come ha detto Salvini, la Lega ci crede. Bonafede si limita invece a rispondere: «Quando c’è una raccolta firme imponente come quella delle Camere penali, bisogna essere aperti al confronto». Ma poi aggiunge: «Io sono contrario: non è nel contratto di governo, e non a caso». Fine dei giochi? Dipende dal Parlamento. Ma la Lega non userà il dossier sulla separazione di giudici e pm come arma per tenere in ostaggio il ddl Bonafede. La ragione è banalissima: la riforma sulle carriere dei magistrati è di rango costituzionale. Non potrebbe certo viaggiare, alle Camere, abbinata a una legge delega sulla procedura penale e civile.
LE “COLPE” DEI GIUDICI
Gli altri punti segnalati da Salvini nel suo intervento di giovedì sono allo stesso modo insufficienti a complicare il percorso della riforma. L’accenno alla responsabilità civile dei magistrati, ad esempio: la materia è completamente diversa. Si tratta di intervenire sulla riforma scritta nella scorsa legislatura dall’ex ministro Andrea Orlando con un senatore socialista, Enrico Buemi. Un passo avanti non marginale: è caduto il filtro di ammissibilità ed è divenuto più stringente l’obbligo di rivalsa dello Stato nei confronti del giudice che sbaglia, con un ritocco alla definizione dei casi di colpa grave. Ma il quadro normativo resta tutto sommato prudente, visto che i casi di condanne dello Stato attribuibili a errori dei magistrati hanno avuto un incremento modesto. Lì, dunque, si potrebbe intervenire.
Ma il punto è: davvero Salvini manderebbe all’aria il lavoro fatto a via Arenula con avvocati e magistrati? La risposta è no. Bongiorno sarà la figura di mediazione che riesaminerà i testi del guardasigilli. Già ora d’altra parte sa che le soluzioni trovate al doppio “tavolo” del ministro rappresentano la soglia oltre la quale non ci si può spingere. Non esiste, allo stato, un margine di intervento sui processi che sia accettabile non solo per le toghe ma anche per gli avvocati. E la ministra della Pubblica amministrazione è anche un’eccellente avvocata penalista, consapevole che non avrebbe senso assumere una posizione dissonante con quella della sua professione.
Resta da chiarire solo la “clausola di collegamento” fra approvazione del ddl delega ed entrata in vigore della nuova prescrizione. Su questo Bongiorno sarà inflessibile: va garantito che gli interventi mirati ad accorciare i processi taglino il traguardo prima della data fatidica del 1° gennaio 2020. Da quel giorno in poi, come previsto dalla spazzacorrotti, si applicherà la norma che elimina la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Ma trovare un accordo sul punto sarà meno arduo di quanto sembri ora: sia perché prima che si arrivi alle sentenze ci vorranno anni sia, e soprattutto perché Bonafede ha preparato, ai tavoli, non solo la legge delega ma di fatto anche i dettagli dei decreti delegati. Si è impegnato ad assicurare un iter veloce. Difficile che l’obiettivo a questo punto possa sfuggirgli.