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«Ma certo che va assicurata protezione anche ai lavoratori autonomi. Se è assurdo per il lavoro dipendente abbassare gli stipendi e pretendere che la produttività aumenti comunque, lo stesso discorso vale anche per i professionisti. E questo principio va fatto valere attraverso un’iniziativa unitaria di tutte le categorie professionali». Ha idee molto chiare, il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri Armando Zambrano. Lo spunto per parlare di lavoro, ceto medio e intese trasversali è offerto da un’occasione significativa: la firma di un protocollo d’intesa tra l’organismo da lui presieduto e il Consiglio nazionale forense per una formazione congiunta di ingegneri e avvocati sulla protezione dei dati personali. «È una cosa importante, quest’accordo, perché ci impegna a collaborare su un tema delicato e che ha aspetti sia giuri- dici che tecnici. E la collaborazione non è che si debba ridurre solo a questo».
A cosa si riferisce, presidente Zambrano?
Al fatto che con il passare del tempo è sempre più chiaro come solo un’iniziativa congiunta tra le diverse categorie professionali possa aiutare la politica a compiere le scelte giuste, per i lavoratori autonomi e per l’intero Paese.
Crede a un “patto” tra le rappresentanze delle diverse professioni?
Non è che ci credo, penso sia indispensabile. C’è un passaggio chiave, la riforma approvata tra il 2011 e il 2012, che ci ha chiarito quali siano le vere priorità e ci ha fatto comprendere come pensare di fare lobby ciascuno per il proprio ambito ristretto serva a poco. Se le sollecitazioni alla politica vengono rappresentate insieme è assai più probabile che portino a dei risultati.
La politica non è più in grado di fare sintesi da sola?
Seppur in buonafede, a volte la politica è distratta su alcuni aspetti. Penso a quanto avvenuto con il jobs act, di cui alla fine si sono persi alcuni contenuti qualificanti proprio rispetto alla tutela del lavoro autonomo. In particolare sull’estensione alle cause di lavoro degli autonomi dello stesso rito previsto per quelle dei dipendenti. Non si è voluto prendere atto che un ingegnere, un avvocato o qualunque altra figura che presti la propria opera da libero professionista ha diritto a un compenso equo esattamente come chi ha un rapporto di lavoro dipendente ha diritto a uno stipendio accettabile.
Una legge sull’equo compenso è necessaria?
Credo che un intervento sulle delle tariffe di riferimento sarebbe giusto e utile. E certo sarebbe meglio ancora se le tariffe fossero di nuovo intese come minime. Credo che quanto avvenuto in questi anni abbia dimostrato come la corsa al ribasso nel costo delle prestazioni finisca per scaricarsi sui cittadini. In termini di qualità, sul piano generale, in modo specifico sul piano della sicurezza se si tratta per esempio di ingegneri. Ma poi scusi, davvero c’è ancora bisogno di trarre lezione dalla crisi di questi anni?
Cosa intende dire?
Che finalmente si comincia a comprendere quanto sia assurdo pretendere che, per esempio, si innalzi il livello di produttività per i lavoratori dipendenti a fronte di retribuzioni più basse. Se è chiaro questo, dovrebbe essere evidentemente del tutto analoga la situazione rispetto agli autonomi, come dicevo. Aggiungiamo che il lavoro di questi ultimi appare sempre più determinante rispetto alla crescita, dal momento che rappresenta l’apporto produttivo maggiormente segnato dall’innovazione e dal dinamismo. Ecco allora che se si vuole davvero favorire la crescita bisogna garantire anche al professionista compensi adeguati.
Quali sono gli strumenti per fare fronte comune?
Già esistono: penso alla Rete delle professioni tecniche, di cui sono presidente, e al Coordinamento unitario delle professioni, di cui fa parte anche il Consiglio nazionale forense. Ormai è chiaro che l’obiettivo di tutti noi non può essere né quello di coltivare il piccolo vantaggio di settore né solo l’aspetto ordinamentale. Il primo dovere è garantire possibilità di lavoro e condizioni retributive decorose per tutti i nostri iscritti.