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«Il Pd lavora per arrivare al 40 per cento». Ettore Rosato, il capo dei deputati dem, zittisce così le voci su un possibile accordo di governo con Berlusconi. Onorevole, dunque dà per scontato che si andrà al voto con l’attuale legge elettorale? Abbiamo una legge elettorale che può piacere o no, ma l’ultima volta che siamo andati in Aula per provare a farne una diversa l’accordo sottoscritto dall’ 80 per cento del Parlamento è saltato su un voto segreto. Bisogna prenderne atto. Chiaro, nulla è definitivo, ma intanto la legge è questa. Ambire al 40 per cento in un sistema tripolare è quasi impossibile. Avrete bisogno di costruire alleanze in Parlamento. Con chi cercherete un’intesa? Sono sicuro che il dubbio sul 40 per cento verrà risolto da un risultato elettorale su cui stiamo lavorando con grande serietà. Ma qualora fosse necessaria un’intesa guardereste inevitabilmente a Berlusconi o sareste disposti ad aprire un tavolo anche coi 5 Stelle? Se nessuno raccoglierà il 40 per cento si aprirà un confronto. Noi ci siederemo al tavolo con tutti quelli che manifesteranno senso di responsabilità. Abbiamo dimostrato, nonostante tutti dicessero che era impossibile, di essere in grado di dialogare anche con i 5 Stelle e abbiamo fatto delle cose insieme, come l’elezione di tre giudici della Corte costituzionale. Il confronto è sempre possibile, la politica non è l’arte dello scontro, ma quella di mettere insieme, nelle situazioni più difficili, gli interessi generali del Paese. Il problema è che il Paese non è più interessato alla politica: il 50 per cento degli elettori diserta le urne... C’è un bel pezzo d’Italia convinto che il suo voto non sia influente, in tanti credono che una proposta politica valga l’altra, come se fossero tutte uguali. Bisogna ridare entusiasmo e motivazione a questi cittadini. Perché Renzi ha perso la carica innovativa di cui si era fatto inizialmente portatore? Non penso che abbia perso quella carica. Ma quando governi rischi di non accontentare tutti. Noi paghiamo il prezzo di aver fatto delle scelte che hanno smosso molti interessi. Soprattutto a sinistra, però, vi rimproverano di non aver capito la portata del 4 dicembre. Avete sottovalutato la sconfitta? Renzi si è prima dimesso da Palazzo Chigi e poi dalla segreteria del Pd, francamente di più non poteva fare. Abbiamo ammesso la sconfitta e ce ne siamo assunti tutte le responsabilità. Una certa sinistra, anche quella uscita dal nostro partito, pensa invece che la sconfitta sia bella di per sé e vada valorizzata. Noi ci rimbocchiamo le maniche per provare a vincere la prossima volta. Orlando chiede un referendum tra gli iscritti sulle alleanze e lei risponde: non serve, siamo alternativi al centrodestra e ci apriremo a «un largo campo di forze che con il Pd ha voglia di governare». A chi si riferisce? A tutti quelli che con noi hanno voglia di concordare e definire un programma. E in base alla legge elettorale, lavoreremo per costruire un partito più largo possibile insieme a esperienze civiche e sociali. L’obiettivo è guardare oltre, verso il campo largo che ha detto Sì alle riforme costituzionali. C’è spazio per Pisapia e Bersani in questo campo largo? Pisapia ha detto Sì alle riforme, è naturale che per noi sia un interlocutore importante. Anche se a settembre farà un gruppo parlamentare con Mdp? Ognuno organizza come ritiene il suo campo, rispettiamo l’esperienza politica degli altri. Che effetto le ha fatto vedere così tanti esponenti Pd in piazza Santi Apostoli con Pisapia? Ho visto tanti dirigenti di partito in quella piazza, non molto altro. Dunque un dirigente del Pd può aderire all’iniziativa politica di un altro partito? Io non lo farei mai e lo sconsiglierei, però ci chiamiamo Partito democratico, anche se ogni tanto sembra anarchico. Sono scelte individuali, ognuno decide come condurre la propria azione politica. Io rivendico con forza la mia idea: un Pd forte è l’unico perno possibile su cui costruire un’alternativa credibile alla destra. Chi sta nel Pd però deve impegnarsi per il Pd. E in quella piazza ho sentito più slogan contro il mio partito che contro la destra. Forse perché siete in competizione, vi contendete lo stesso elettorato... Ognuna farà la sua proposta politica, ma noi ci occupiamo di che cos’è il Pd, non di cosa fanno gli altri. E cos’è il Pd? Il partito che sta facendo le riforme per cambiare il Paese e costruire un’alternativa alla destra e alla demagogia dei 5 Stelle. Qualcuno parla di una nuova “ondata scissionista” che a breve potrebbe investire il Pd. C’è questo rischio? Io non lo vedo, non saprei chi dovrebbe andarsene. C’è una discussione in un partito che ha il confronto nel proprio dna. Sareste disposti a sospendere lo statuto del partito per consentire primarie di coalizione? Non vedo al momento una legge che preveda coalizioni, quindi mi sembra difficile. Poi, mi pare che quelli con cui dovremmo teoricamente allearci dicono ogni giorno “mai col Pd di Renzi”. Ma noi abbiamo un segretario ed è Matteo Renzi. Siamo disponibili al dialogo con tutti, ma basta con le sigle, confrontiamoci sul programma e sulle idee. Se vengono a spiegarci che il loro programma è abolire il Jobs Act con cui abbiamo creato 850mila posti di lavoro, noi diciamo “no grazie”. Quindi un Pd alternativo a Forza Italia, ai 5 Stelle e anche ai partiti di sinistra? Leggiamola in un altro modo: i partitini della sinistra dicono di essere alternativi a noi, a Forza Italia, alla Lega e al M5S. Come vede, il discorso vale per tutti. Noi avanziamo la nostra proposta politica, sceglieranno gli elettori. E il prossimo test elettorale di peso saranno le Regionali siciliane. Si è chiusa l’esperienza Crocetta per il Pd? Dobbiamo utilizzare il modello palermitano: con una coalizione larga abbiamo costruito un progetto vincente. Con questo stesso meccanismo, bisogna dunque scrivere un programma in discontinuità con quanto fatto in questi anni e cercare un candidato che sia all’altezza. Ma dividendovi non rischiate di consegnare l’isola ai 5 Stelle? Le campagne elettorali si fanno per vincere, ma il rischio di perdere c’è sempre per tutti.