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Giulio Regeni è stato vittima di una tortura in più fasi, durata giorni. A dirlo sono il sostituto procuratore di Roma, Sergio Colaiocco, e il procuratore facente funzioni, Michele Prestipino, nel corso dell’audizione in commissione parlamentare di inchiesta sull’omicidio del ricercatore. «L’autopsia eseguita in Italia - ha spiegato Colaiocco - ha dimostrato che le torture sono avvenute a più riprese, tra il 25 e il 31 gennaio.
L’esame della salma depone per una violenta azione su varie parti del corpo. I medici legali hanno riscontrato varie fratture e ferite compatibili con colpi sferrati con calci, pugni, bastoni e mazze. Giulio è morto, presumibilmente il 1 febbraio, per la rottura dell’osso del collo». Quattro i depistaggi portati avanti dagli apparati egiziani.
«In primis l’autopsia svolta a Il Cairo che fa ritenere il decesso legato a traumi compatibili con un incidente stradale», ha spiegato Colaiocco. Poi il tentativo di collegare la morte a un movente sessuale, facendolo ritrovare nudo. Alla vigilia della trasferta dei pm romani del 14 marzo del 2016, poi, «un ingegnere racconta alla tv egiziana di avere visto Regeni litigare con uno straniero dietro al consolato italiano alle 17 del 24 gennaio - ha proseguito il pm -.
Il racconto è falso e ciò è dimostrato dal traffico telefonico dell’ingegnere che era a chilometri di distanza dal consolato e dal fatto che Giulio a quell’ora stava guardando un film su internet a casa. L’uomo ha ammesso di avere ricevuto quelle istruzioni da un ufficiale della Sicurezza nazionale che faceva parte del team investigativo congiunto italo- egiziano», con lo scopo di «tutelare l’immagine dell’Egitto e incolpare stranieri per la morte di Regeni».
Il quarto tentativo di depistaggio «è legato invece all’uccisione di cinque appartenenti a una banda criminale morti nel corso di uno scontro a fuoco. Per gli inquirenti egiziani erano stati loro gli autori dell’omicidio».