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In realtà Serraj si era subito spinto a dire che la sovranità della Libia non poteva essere compromessa e che avere navi da guerra straniere nelle acque libiche era una linea rossa che non poteva essere attraversata. Chiaramente dall'Italia era subito rimbalzata la risposta di Gentiloni che aveva avuto gioco forza nel dichiarare che "il Cdm ha approvato quello che il governo libico ha chiesto, niente di più, niente di meno".
Schermaglie prevedibili probabilmente ma che assumono un valore preciso alla luce di quanto successo domenica 31 luglio. Infatti mentre già si discute del numero di navi che saranno inviate e di quanti marinai e droni, è arrivato il fulmine lanciato da Tobruk. Dalla città capitale dell'altro governo libico, guidato dal generale Khalifa Haftar, è stato emesso un comunicato siglato dal Comitato nazionale libico per la difesa e la sicurezza. In esso pesanti accuse all'Italia accusata di interferire "con un intervento militare flagrante" negli affari interni libici.
Obiettivo dell'attacco di Haftar è stato anche il governo di Tripoli definito "consiglio di presidenza incostituzionale e illegale". Si è poi aggiunta la voce del portavoce dell'Operazione Dignità (l'offensiva lanciata da Haftar contro le milizie islamiste nel 2014)Ahmed Al-Mismari: "La risposta all'intervento italiano nelle acque libiche sarà forte". L'intervento italiano viene anche giudicato sconsiderato e soprattutto in contrasto con l'iniziativa francese.
Non è un mistero che Haftar (il suo governo non è comunque riconosciuto dall'Onu) è sostenuto proprio dai francesi e dall'Egitto mentre l'Italia ha costruito la sua partenership con Tripoli. L'iniziativa del presidente Macron che sta tentando di pacificare la situazione in Libia, scavalcando il governo d'Italia, è il segno tangibile di come in Libia si giochino più partite che vanno oltre il traffico di migranti e che riguardano soprattutto il settore energetico. In questo senso già nel 2015 Tobruk era insorta contro l'invio di navi italiane di fronte alle coste libiche. A gennaio la riapertura dell'ambasciata italiana e a Tripoli era stata visto come un aggressione militare.
Insomma Khalifa Haftar sembra essere il vero ago della bilancia per l'intervento italiano. Incontra regolarmente diplomatici stranieri, straparla in maniera negativa di Serraj ma soprattutto si sente forte militarmente grazie all'aiuto fornito dal suo omologo egiziano Al- Sisi. Una forza da non sottovalutare se non si vuole trasformare l'intervento italiano in una palude. Il motivo risiede nella stessa entità dell'operazione che, se vuole essere significativa, deve assumere i contorni di un vero e proprio blocco navale.
Come hanno sottolineato diversi esperti militari fermare i trafficanti costa l'impiego di almeno 5000 militari, dai 4 ai 6 droni per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni i comando, due cacciatorpediniere per la protezione aerea, e poi tutta una serie di unità più piccole preposte proprio a far rispettare il blocco. Non dovrebb essere escluso nemmeno un intervento di forze speciali, destinate a scoprire i centri clandestini di migranti gestiti dalle organizzazioni criminali.
Un tale spiegamento si inserirebbe su un terreno fortemente destabilizzato dove, oltre allo scontro tra Tripoli e Tobruk, chiunque intervenisse dovrebbe fare i conti con l'Isis, centinaia di milizie islamiste, le milizie di Zintan e qualcosa come 140 tribù in costante scontro tra di loro. Una situazione che ha fatto dire all'ex generale Fabio Mini che un intervento efficace non impiegherebbe meno di 50000 militari complessivi. Inoltre le regole d'ingaggio non potrebbero essere che quelle impiegate in una guerra.
Se poi si volessero fermare veramente le bande criminali che organizzano le partenze dei migranti, si dovrebbe agire in zone come Zuara, Sabratha, Sourman e Zanzur, sulla costa ovest di Tripoli. Così come a Tagiura e a Tarabuli, località che difficilmente il fragile governo di Serraj riesce a controllare da solo. Come riporta l'Huffinghton Post, un viaggio frutta ai trafficanti circa 150mila euro, una torta molto grande che nessuno è disposto a farsi portare via se non a caro prezzo.
E' chiaro che al primo colpo di fucile straniero tutta la Libia potrebbe precipitare in un caos peggiore di quello attuale, se possibile. Ma forse Haftar e molti altri sono interessati a qualcos'altro, il denaro. E'in arrivo sulla Libia una pioggia di finanziamenti, ad aprile l'Unione europea ha stanziato 90 milioni di euro per "gestire le migrazioni in Libia attraverso attività di protezione e sviluppo economico". Parte dei soldi sono destinati ai 23 centri di detenzione per migranti controllati dal governo di Serraj e nei quali ritornano coloro che vengono intercettati in mare, compresi quelli che potrebbero essere bloccati dalla missione italiana.
Si tratta di denaro prelevato dal Trust Fund, soldi che dovrebbero essere usati per progetti finalizzati alla "gestione delle migrazioni" e allo sviluppo e che invece sono andati ad iniziative militari per il controllo delle frontiere. L'inchiesta realizzata da "Diverted Aid" finanziata dal Centro Europeo di Giornalismo, ha messo in luce come nel 2015 venne istituito il Fondo Fiduciario per l'Africa che fu riempito da 2,9 miliardi di euro. Solo nel 2016 da questo fondo sono arrivati in Libia 600 milioni di euro, mentre è recentissima la notizia che riguarda 46 milioni di euro stanziati dall'Europa per permettere all'Italia di addestrare ed equipaggiare la Guardia costiera libica e le guardie di frontiera nel sud del paese a ridosso del deserto del Sahara.