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Caos nell'aula di Montecitorio sulla legittima difesa: un'anticipazione di quello che nella prossima legislayura potrebbe diventare spettacolo quotidiano ANSA/FABIO FRUSTACI
Quando arriverà, se mai arriverà, sul suo tavolo per la firma, Mattarella scuoterà il capo compulsando la legge sulla legittima difesa. Penserà che le polemiche attuali sono una pallida metafora di ciò che accadrà dopo le elezioni in due Camere balcanizzate.
Sulle nuove regole che stabiliscono il comportamento legale da adottare quando qualcuno viola la tua abitazione di giorno o di notte, infatti, nell’attuale Parlamento in queste ore - seguendo l’ondata emotiva di tanti: ma guai se le leggi sono scritte sulla base degli umori e non della razionalità - sono accadute le seguenti cose: 1) la destra ha giudicato la legge eccessivamente blanda perché troppo “di sinistra”; 2) la sinistra ha considerato le medesime norme un’esplicita autorizzazione a usare le armi perché figlia di una logica “di destra”; 3) il centrodestra si è compattato e i moderati di FI hanno votato assieme ai sovranisti Salvini e Meloni; 4) il medesimo Salvini, per nulla frenato dall’endorsement dei berluscones, ha inveito dalle tribune di Montecitorio fino a farsi espellere e poi ha continuato a protestare in piazza invocando maggiore permissività, pistole comprese, per gli aggrediti; 5) i grillini anti- sistema hanno votato assieme alla destra salvinian- berlusconiana, a quanto pare senza nessun referendum sul web o consultazione interna; 6) gli ultras di sinistra, nonché scissionisti, di Mpd hanno votato come i Cinquestelle, e dunque come la destra; 7) il leader del principale partito della maggioranza, il Pd, un attimo dopo il via libera dell’aula ha sconfessato il provvedimento alla cui scrittura ha contribuito un esponente di primo piano del suo partito nonché ministro ( Anna Finocchiaro), e poi portato all’approvazione da un suo strettissimo collaboratore, relatore del provvedimento, Davide Ermini; 8) la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso, in plateale polemica con suddetto segretario del maggior partito eccetera eccetera, ha plaudito al fatto che il Senato abbia resistito al referendum costituzionale e sia ancora in piedi; lasciando intendere, da perfetto super partes, che quella legge va ampiamente modificata; 9) in ogni caso i numeri di Montecitorio non sono sufficienti a palazzo Madama e il rischio che sulla legittima difesa tanto polverone finisca nel nulla, è assai concreto.
Basta? Magari: in realtà è solo l’inizio. Chissà se davvero il presidente della Repubblica scuoterà il capo o se resterà immobile nel suo caratteristico aplomb: fatto sta che la consapevolezza che in assenza di una adeguata riforma elettorale il prossimo Parlamento sarà una sorta di Beirut in miniatura, era e resta in lui presentissima. Ma solo in lui, che continua a inutilmente a fare pressing, a quanto pare. Infatti occorre sottolineare che il - diciamo così - soporifero e catatonico passaggio in aula della legge si è potuto avvalere della regia, non brillantissima, visti i risultati, di una maggioranza che è tale in virtù del fatto che il Pd seppure di un soffio ha preso il premio di maggioranza, giovandosi peraltro di un sistema elettorale giudicato poi incostituzionale dalla Consulta. A sua volta sostituito da un altro, approvato e mai messo in atto, ma comunque parimenti considerato contrario alla Costituzione dai medesimi giudici. Ma cosa succederà se alle elezioni nessun partito supererà il 40 per cento assicurandosi così il premio in seggi e le Camere verranno elette sulla base dei due moncherini risultanti dalle sentenze della Corte, seguendo un criterio di assegnazione prettamente proporzionale?
Succederà l’ingovernabilità: è inevitabile. Nè, purtroppo, è garanzia di stabilità il fatto che, a norme vigenti, al Senato esista uno sbarramento dell’ 8 per cento che spinge verso un riparto dei seggi di tipo maggioritario. Se infatti niente si tocca, alla Camera la soglia di accesso resterà al 3 per cento: in pratica in un ramo del Parlamento sarà possibile una maggioranza che poi l’altro ramo puntualmente potrà ripudiare. Davvero geniale. Come preparare una polpetta avvelenata, e poi ingoiarla.
Ecco perchè serve una legge elettorale coesa, strutturale, armonica per le due Camere: per realizzare almeno un filo di governabilità e di equilibrio. Altrimenti il pantano inghiottirà tutto e tutti, a cominciare dalla forza politica che risulterà prima nei seggi e che avrebbe tutto l’interesse a muoversi contando su un perimetro di azione chiaro e definito. In caso contrario, quella delle urne risulterà una vittoria inutile.
Però c’è un problema. Che per farla, la riforma, bisogna trovare un’intesa e occorre farlo ora, tra i partner disponibili, interrompendo quella specie di folle corsa solitaria verso lo schianto intrapresa da Pd, FI e Cinquestelle. In un mondo ideale, la cosa migliore sarebbe che le tre principali forze - e magari anche altri gruppi parlamentari “volenterosi” - convergessero su alcuni punti comuni. Nel mondo che viviamo, è sufficiente che quell’accordo lo stipulino due dei tre maggiori partiti. Si può scegliere tra una delle combinazioni possibili: Pd e grillini ( difficile); Pd e Berlusconi ( più facile a farsi, assai complicata a gestirsi) o Fi e Grillo ( fantapolitica). Ovviamente con l’aiuto di volta in volta di quei partiti minori che mostrassero disponibilità.
E’ evidente che il capo dello Stato continuerà nella sua moral suasion, anche intensificandola se necessario. Molto meno sicuro è che riesca a centrare l’obiettivo. Ma lo spettacolo parlamentare di queste ore, e che in prospettiva potrebbe diventare addirittura ancor più contorto, serve solo ad allontanare i cittadini dalle istituzioni. Di solito, l’epilogo di un simile percorso è nefasto.