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Il processo da remoto snatura il significato della giustizia, innanzitutto di quella penale
di Silvia Vono* In un contesto in cui ci accingiamo a studiare prospettive di realtà che prevedono un graduale ritorno alla ripresa della vita lavorativa e sociale, anche il mondo giudiziario, per assicurare una corretta riapertura di tutte le attività sospese, deve elaborare le proposte migliori affinché non venga mai a mancare il giusto connubio tra tutela della salute pubblica e tutela dei diritti dell’individuo. I diritti vanno intesi anche come necessità di ottenere processi di normale svolgimento pur facendo fronte a tutti quegli obblighi che il momento ci impone, senza però accelerare troppo sull’introduzione di misure radicali che sebbene sembrino assicurare sulla carta un equilibrio perfetto, finiscono per snaturare e sminuire l’importanza della giustizia. È già da diversi giorni infatti che avanza la tentazione, prima nel governo e ora soprattutto in una parte della magistratura, di “virtualizzare” totalmente le fasi dei procedimenti giuridici, in particolare quelli penali, nei quali è spesso richiesta, invece, non solo la presentazione di documenti ed elaborati (come avviene maggiormente nel processo civile), ma anche la presenza fisica delle parti interessate all’azione legale. A tal proposito, adducendo improrogabili e tecnicamente giusti motivi di incolumità, la macchina ministeriale aveva tradotto in emendamenti al decreto Cura Italia, poi approvati, questo “processo virtuale” che, svolgendosi quindi totalmente in remoto, eliminerebbe il rischio sanitario creando, però, allo stesso tempo, gravi scenari di problematicità legati in primis alla inconsistenza dell’esperienza umana in un processo, come è quello penale, in cui le relazioni e le emozioni hanno un’importanza fondamentale per mettere la capacità di giudizio nelle migliori condizioni di operare. Infatti, pur ritenendo necessario alleggerire il carico di lavoro tramite modalità non nuove ma piuttosto ben pensate, di “smart working”, non è ammissibile che le discussioni che solitamente si tengono in un’aula alla presenza di tutti i partecipanti vengano ora trasformate in “teleconferenze”, permettendo così che non si ponga la giusta attenzione all’importanza di ciò che avviene. Si rischia di non considerare il valore e la necessità di una corretta comunicazione tra avvocato e cliente, senza neanche considerare minimamente i possibili rischi di inquinamento telematico dell’intero processo dovuti all’esposizione del flusso di dati online, che è possibile solamente mitigare tramite l’uso di sistemi crittografici che proteggono da manomissioni e alterazioni. Si pensi solo all’enorme danno che il sistema giudiziario potrebbe subire se un processo, nel corso del suo svolgimento virtuale, venisse alterato nel flusso audio/video che si sta trasmettendo alle parti. È inoltre inammissibile che, in un mondo come quello italiano che ancora oggi soffre di gravi lacune legate al solo adempimento telematico di consegna ed elaborazione di documenti giuridici, e mi riferisco qui alle innumerevoli difficoltà che si sono riscontrate negli anni col Processo civile telematico, si possa solo anche ipotizzare di programmare e sfruttare con scioltezza e in totale sicurezza un sistema che permetta in tempi brevissimi di sostituire la realtà dei tribunali con degli schermi. Ci troviamo oggi ad affrontare un periodo complesso delle nostre vite, e sicuramente bisogna guardare con fiducia all’introduzione di strumenti alternativi per garantire che venga mantenuto il complesso equilibrio tra salute e libertà personali, ma non per questo dobbiamo derogare alle nostre garanzie costituzionali sul giusto processo. Auspico che il ministro Bonafede voglia ascoltare, e tradurre nelle necessarie modifiche normative, le istanze provenienti dal mondo giudiziario. Ma anche e soprattutto che voglia condividere decisioni spesso assunte, inaudita altera parte, e permettere anche ai parlamentari che operano nel mondo del diritto di lavorare insieme, affinché si possano costituire giuste modalità di ripresa delle nostre attività senza aggravarci ulteriormente di spese o difficoltà procedurali che finirebbero con il rendere inutili tutti gli sforzi finora compiuti per il miglioramento e l’innovazione del sistema processuale italiano. *avvocata, senatrice di Italia viva