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Decine di inchieste giornalistiche e la raccolta di testimonianze riportate dai migranti riusciti ad arrivare in Italia, dopo essere stati detenuti nei famigerati centri di detenzione della Libia, tutto sembra trovare una conferma nell'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. La Dda del capoluogo siciliano infatti ha nesso in stato di fermo tre uomini che, secondo l'accusa, controllavano e trattenevano le persone nel campo di Zawya. Il guineano Mohamed Condè, detto Suarez, e gli egiziani Hameda Ahmed e Ashuia Mahmoud sono accusati di reati pesantissimi: sequestro di persona, tratta di esseri umani e tortura. Per gli inquirenti i tre in realtà “lavoravano” per un'organizzazione potente che gestisce il business del traffico di esseri umani. Agli aguzzini si è risalito attraverso le testimonianze di altri migranti arrivati a luglio con la nave Alex di Mediterranea e che si trovano nell'hotspot di Messina. I tre infatti sono stati riconosciuti attraverso le foto mostrate dagli agenti della squadra mobile di Agrigento. E sono le parole dei migranti stessi, raccolte dal quotidiano Repubblica, a far capire quello che succedeva nel centro di detenzione: «Le condizioni di vita, all’interno di quella struttura, erano inaudite. Ci davano da bere acqua del mare e, ogni tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza, venivamo picchiati per sensibilizzare i nostri parenti a pagare denaro in cambio della nostra liberazione. Ci davano un telefono col quale dovevamo contattarli per dettare loro le modalità di pagamento. Durante la mia prigionia ho avuto modo di vedere che gli organizzatori hanno ucciso a colpi di pistola due migranti che avevano tentato di scappare». Gli inquirenti di palermo scrivono: “E’ soprattutto dalle dichiarazioni che risulta la piena operatività di un organismo plurisoggettivo fortemente strutturato, composto da cittadini di plurima nazionalità (tra cui libici, guineani, egiziani, sudanesi, gambiani, nigeriani e pakistani), operante all’interno del carcere di Zawyia, che coopera quotidianamente, e da lungo tempo, per l’attuazione di un progetto delittuoso e speculativo unitario e organico: il sequestro dei migranti – dicono i magistrati della Dda di Palermo – il pagamento del riscatto su conti correnti a ciò dedicati; l’uso di armi da fuoco; le ripetute e continue violenze e torture finalizzate a creare la situazione di assoggettamento; le violenze sessuali sulle donne e le umiliazioni fisiche e psichiche; la vendita agli altri trafficanti di esseri umani o ai gruppi operanti sulla costa per il viaggio finale verso l’agognata meta europea”.