Abbiamo chiesto al dottor Guido Salvini, attualmente giudice del Tribunale di Milano, la sua opinione su alcuni temi che in questi giorni stanno facendo molto discutere. Non ultima, la rinnovata polemica sulla modifica delle prescrizione del reato.

Consigliere, l’Associazione nazionale magistrati ha disertato l’inaugurazione dell’Anno giudiziario per protesta contro il governo che non ha portato a 72 anni il pensionamento dei magistrati. Cosa pensa di questa scelta?

Anche a me il pensionamento a 72 anni sembra una via di mezzo ragionevole tra i 70 e i 75, ma da qui sino a minacciare anche uno sciopero contro il governo ne passa. Giudico l’enfasi di questa protesta un caso di falsa coscienza, di quelli in cui non si vuole riconoscere nemmeno dinanzi a sé stessi le ragioni di un comportamento e lo si riempie con qualcosa di non vero.

Si spieghi meglio.

La magistratura è l’unica categoria di lavoratori che chiede con insistenza di lavorare più a lungo. E la strenua opposizione dei magistrati all’abbassamento dell’età della pensione mi convince poco, forse non riguarda che marginalmente l’attenzione per i cittadini. Più semplicemente esprime lo sgomento per l’accorciarsi del tempo del proprio prestigio e potere personale. Negli anni il potere della magistratura si è molto espanso, tocca tutti i campi della società, come ha ricordato anche il ministro Orlando, e le aspettative dei singoli sono la conseguenza di questa espansione. In questo senso parlo di falsa coscienza.

Lei partecipa di solito all’inaugurazione dell’Anno giudiziario?

No, l’inaugurazione dell’Anno giudiziario mi sembra una cerimonia ormai superata, anche sul piano estetico: quelle toghe d’ermellino rosse credo suscitino più che interesse un senso di lontananza, sembra un anti- co conclave, qualcosa che per il cittadino assomiglia più ad un rito che a un momento di servizio in suo favore.

Andrebbe abolita la cerimonia?

Basterebbe un incontro meno paludato e più asciutto, solo con qualche relazione, magari in una sala del Consiglio comunale o in un altro luogo più aperto alla città.

Tornando alle pensioni quindi per lei la mancata posticipazione non è una catastrofe per la giustizia?

Non credo, anche perché quando si parla di giudici che mancano si evita sempre di considerare le decine e decine di magistrati che, anche da moltissimi anni, non svolgono le funzioni giurisdizionali, perché sono collocati fuori ruolo in incarichi ministeriali, politici, internazionali spesso superflui e per i quali basterebbe di norma un buon funzionario.

Come spiega questa corsa al “fuori ruolo”?

Questo avviene perché incarichi di questo genere sono un prestigio per i prescelti e, per la categoria, una delle porte girevoli tra politica e giustizia, porte che non dovrebbero esistere o essere ridotte al minimo.

In effetti ci sono magistrati che svolgono compiti che nulla hanno a che vedere con la giurisdizione...

Infatti. Non si parla mai, quasi nessuno lo sa, delle centinaia di magistrati che svolgono funzioni giurisdizionali ridotte perché fanno parte delle numerose strutture di supporto che il Csm ha voluto: è il caso dei magistrati segretari del Consiglio, di coloro che fanno parte delle Commissioni organizzative, delle Commissioni per l’informatica, delle Commissioni scientifiche. Anche qui basterebbe a seconda dei casi un buon tecnico, un funzionario o uno studioso e negli altri gli incarichi non dovrebbero ridurre le presenze in udienza.

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Possiamo dire che far parte di questo mondo parallelo alla giurisdizione serva a far carriera?

La partecipazione a queste strutture, in cui si entra per cooptazione, è quasi sempre un passaggio obbligato per ottenere poi dallo stesso Csm gli agognati posti direttivi.

Cambiamo argomento. Diritto all’informazione e processo mediatico, un valore e un disvalore che secondo lei dovrebbero essere meglio bilanciati?

La giustizia spettacolo e gli show in televisione che partono già all’inizio dell’indagine e rischiano di condizionarne gli sviluppi sono un problema tutto italiano. Non credo che negli altri Paesi europei dopo ogni delitto eclatante si assista in televisione a processi paralleli con opinioni senza alcun freno. Chi vi partecipa è complice di questa stortura. A parte questo, un problema ormai irrisolvibile, si dibatte da anni sui limiti reciproci tra giustizia e informazione.

È pessimista, a riguardo?

Il problema è complesso ma credo che vi sia un punto essenziale: nessuno, grande o piccolo, antipatico o simpatico che sia, deve avere notizia per la prima volta dalla stampa di una sua iscrizione nel registro notizie di reato, di una proroga indagini, di una intercettazione, di un atto che lo riguarda.

Come si potrebbe fare?

Non dovrebbe esserne consentita la pubblicazione sino ad un momento preciso, non troppo avanti rispetto alla notizia, ma ben definito. Quello in cui l’interessato, indagato o testimone, abbia avuto la possibilità davanti a un magistrato di dare la sua versione su ciò di cui è accusato o su quanto stanno dicendo di lui. Una soluzione civile che dovrebbe essere studiata anche con l’aiuto dell’Ordine dei giornalisti, il quale non credo debba essere contento che i suoi scritti funzionano da semplici ‘ postini’.

Un’ultima domanda. Cosa ne pensa del dibattito sulla prescrizione?

Non bisogna dimenticare che vi sono due piani e che anche se si allunga la prescrizione rimane il problema della ragionevole durata dei processi, questione spesso offuscata dalla prima. Si può allungare la prescrizione per certi reati anche a 15 anni, ma se il processo di primo grado si celebra dopo 7 o 8 anni chi viene condannato e soprattutto chi viene assolto è sottoposto ad un meccanismo che non può riconoscere come una giustizia accettabile. L’esigenza non è solo quella di allungare la prescrizione ma anche di avvicinare i processi, altrimenti il processo stesso diventa una pena aggiuntiva anche per l’innocente.