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Non era nell’indice delle priorità. Al tavolo sulla giustizia di oggi il guardasigilli Alfonso Bonafede e la ministra della Lega Giulia Bongiorno avrebbero dovuto discutere di riforma del processo, punto. Ma il caso Palamara ha riscoperchiato il tema che è alla base di tutto: le intercettazioni. Oggi 5Stelle e Lega ne parleranno con Giuseppe Conte. Ma Bonafede farà una richiesta: tenere il tema fra parentesi. Lasciare, prima, che arrivino indicazioni dal tavolo tecnico aperto presso il ministero da lui guidato. E a quel tavolo, ieri, il ministro ha invitato due figure chiave: il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna e il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin.
Non era nell’indice delle priorità. Al tavolo sulla giustizia di oggi il guardasigilli Alfonso Bonafede e la ministra della Lega Giulia Bongiorno avrebbero dovuto discutere di riforma del processo, punto. Poi si è aggiunto il Csm e l’urgenza di modificare il sistema per l’elezione dei togati, quanto meno. Ma il caso Palamara e l’uragano di veleni non risparmia ricadute persino sui vertici delle più alte magistrature, e ha così riscoperchiato il tema che è alla base di tutto: le intercettazioni. Oggi i massimi esponenti di cinquestelle e Lega ne parleranno, certo, alla presenza di Giuseppe Conte. Ma Bonafede farà una richiesta: tenere il tema fra parentesi. Lasciare, prima, che arrivino indicazioni dal tavolo tecnico aperto presso il ministero della Giustizia da lui guidato.
Una task force che vede allertati già da tempo i più alti dirigenti di via Arenula, dal capo del dipartimento Affari di giustizia allo stesso portavoce del guardasigilli, Andrea Cottone. Al tavolo, ieri, il ministro Bonafede ha invitato due figure chiave: il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna e il presidente del Consiglio nazionale forense Andrea Mascherin. Parteciperanno alla riunione sulle intercettazioni prevista per venerdì presso il ministero. Poi il guardasigilli fisserà successivi incontri «in cui saranno chiamati a partecipare gli addetti ai lavori e le loro associazioni» : innanzitutto l’Unione Camere penali e l’Anm. Ma è significativa la scelta di partire dai due soggetti istituzionali dell’informazione da una parte e dell’avvocatura dall’altra.
Significativa anche la location interna individuata per l’incontro di venerdì: la sala Livatino, quella in cui di solito il ministro tiene le conferenze stampa. L’incontro di dopodomani dovrebbe consentire di raccogliere le istanze innanzitutto delle due “controparti” invitate. Da lì si capirà cosa può essere tradotto in nuove disposizioni. L’architrave, per Bonafede, resta il «diritto all’informazione». A questo assioma non si sfugge. Ma il caso Csm ha chiarito ancora una volta che c’è un altro aspetto altrettanto ineludibile, in particolare con gli assurdi riferimenti al consigliere giuridico di Sergio Mattarella, Stefano Erbani: e tale altro aspetto è la dignità delle persone.
A ricordarlo è proprio Mascherin, in un comunicato diffuso ieri, subito dopo che lo stesso Bonafede ha reso noto l’invito ad avvocati e giornalisti: dal punto di vista della professione forense, spiega il vertice del Cnf, «la libertà di informazione è sacra e strumento di democrazia evoluta» così come «più che sacra è la dignità di ogni persona, che non deve essere mai oggetto di una pena non più in vigore da tempo, ovvero la gogna».
Chiaro riferimento alla necessità di bilanciare gli interessi e i valori in gioco. D’altronde lo stesso presidente del Consiglio forense nota «la tempestività della convocazione del tavolo sulle intercettazioni» come un «segno di sensibilità e attenzione al tema da parte del ministero della Giustizia». Ancora, Mascherin si dice certo che «la sensibilità di avvocati e giornalisti favorirà una soluzione scevra da luoghi comuni, parole d’ordine e ricerca del consenso: una soluzione che, garantendo serenità a chi opera nel mondo dell’informazione, salvaguardi la persona. Il buon giornalismo e la buona avvocatura non potranno che trovarsi d’accordo, fornendo così un importante contributo alla politica», conclude il presidente del Cnf.
Dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti è inevitabile attendersi un approccio almeno in parte diverso, nel bilanciamento fra diritto all’informazione e prevenzione del “processo mediatico”. Ma nella sua nota, il presidente dell’Ordine Carlo Verna non tiene del tutto ai margini il secondo aspetto: l’invito di Bonafede, che Verna ringrazia, «sarà l’occasione per sottolineare la nostra posizione per un’informazione libera e priva di bavagli, nonché la disponibilità a proporre e trovare soluzioni nell’interesse del bene comune e per il bilanciamento di diritti contrapposti». È un segnale di disponibilità che pare incrociarsi perfettamente con quello di Mascherin e concede al tavolo di dopodomani un accettabile margine di manovra.
Certo si deve già partire da una divergenza politica di base: Movimento 5 Stelle e Lega hanno posizioni non perfettamente sovrapponibili, sul punto. Tutt’altro. Se Bonafede non intende porre limiti al diritto di informare, Salvini e Bongiorno vorrebbero evitare «la prassi incivile delle intercettazioni senza rilievo penale che finiscono sui giornali». Tecnicamente non ci sono molti anelli della catena che si offrono a un intervento. E la stessa avvocatura ha più volte fatto notare la “criticità” di una delle previsioni- chiave del “congelato” decreto Orlando, quella per cui la selezione iniziale delle intercettazioni da trascrivere nei verbali sarebbe stata affidata in gran parte alla polizia giudiziaria.
In tal modo gli elementi raccolti sarebbero quasi tutti inconoscibili per lo stesso difensore. Considerato che Bonafede pare fermo nell’escludere sanzioni più aspre per il giornalista, la sola possibilità per arginare il flusso di conversazioni dalle Procure ai giornali resterebbe dunque quella di limitare, negli atti di pm e gip, il richiamo delle comunicazioni intercettate ai soli «brani essenziali». Sul punto, il presidente dei giornalisti Verna, interpellato dal Dubbio, non nasconde le proprie perplessità: «Limitare il giudice nella conoscibilità degli atti mi pare in ogni caso inappropriato: è giusto che chi deve decidere sulla concessione di una misura cautelare abbia a disposizione tutti gli elementi», spiega, «e possono essere preziosi anche quelli che, pur privi di immediato rilievo penale, hanno comunque rilevanza sociale. Altro è riportare negli atti della fase preliminare conversazioni in cui emergono fatti relativi esclusivamente alla sfera privata e più intima delle persone coinvolte.
Ma vorrei ricordare», osserva il presidente dell’Ordine dei giornalisti, «che chi scrive già si espone a rischi di azioni da parte dei soggetti a cui fa riferimento. Già opera perciò un autonomo controllo: innanzitutto in osservanza delle nostre prescrizioni deontologiche e, appunto, anche in vista delle conseguenze a cui è esposto. Si può ipotizzare una norma che ribadisca l’invalicabilità del limite già richiamato dalla disciplina della privacy e dalla deontologia», dice Verna, «ma non sarebbe accettabile un cappio intorno al collo della libertà di stampa o a quello del giudice».
I margini sono stretti, e in ogni caso il percorso per individuare una sintesi si preannuncia tutt’altro che breve. Su un aspetto però il presidente del Cnf Mascherin sarà chiaro: l’attuale disciplina del divieto di intercettare il difensore, fissata all’articolo 103 del codice di procedura penale, è insufficiente. Non basta l’inutilizzabilità delle comunicazioni tra avvocato e assistito che fossero comunque captate, dal momento che tali comunicazioni resterebbero comunque conoscibili da parte del pubblico ministero. Si tratta di un vulnus al quale lo stesso decreto Orlando poneva rimedio in forma solo parziale e sul quale il Consiglio nazionale forense chiederà una disciplina finalmente chiara.
Da ultimo, a proposito di eventuali limiti per pm e gip nel richiamare i brani intercettati, andrebbero eventualmente considerate anche le eventuali conseguenze per i magistrati che violassero il vincolo. Potrebbero essere previste conseguenze sul piano disciplinare. Ma nel caso, sarebbe prevedibile la risposta molto negativa da parte dell’Associazione nazionale magistrati, visto che conseguenze analoghe sono già ipotizzate nella proposta di legge sugli errori giudiziari che determinano l’ingiusta detenzione, attesa a breve nell’aula di Montecitorio.