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Donald Trump, che non sarà un sofisticato analista politico ma che nella vita ha dimostrato di avere un discreto fiuto politico, lo aveva detto qualche giorno fa: Boris Johnson e Nigel Farage devono allearsi, presentarsi alle elezioni del 12 dicembre in un’unica lista altrimenti la vittoria di “Bo- Jo” potrebbe non essere scontata come suggeriscono i sondaggi.
Ma Farage è un tipo imprevedibile, tra una depressione e l’altra ama interpretare il ruolo della mima vagante, dell’underdog che alla fine trionfa contro tutto e tutti come accadde nel clamoroso referendum del 2016; il piccolo padre del leave, il dimesso tribuno dell’orgoglio britannico l’ex leader dell’Ukip che mai è riuscito a entrare a Westminster nei sei precedenti tentativi ( il primo nel 1994), ha deciso di riprovarci per la settima volta con il suo Brexit Party. Nessun accordo con i conservatori, nessuna desistenza, la destra marcerà divisa verso il voto e Farage presenterà oltre seicento candidati nei vari collegi convinto che la stanchezza degli elettori per il teatrino infinito della brexit possa premiare il suo schietto populismo anti establishment e anti Unione europea.
Ma stavolta il suo nome non sarà in lista: «Mi sono chiesto come potevo servire al meglio la causa della Gran Bretagna: mi interessa di più ottenere un seggio alla Camera dei comuni o sarei più utile percorrendo il Regno Unito in lungo e in largo sostenendo i nostri candidati? Penso che la seconda opzione sia la migliore», ha spiegato in un’intervista alla Bbc.
Una campagna elettorale on the road, in un certo modo “salviniana”, fatta di comizi sotto la pioggia, di bagni di folla, di strette di mano, di incontri nei villaggi più sperduti, nelle aree rurali che costituiscono lo zoccolo duro della Brexit e l’incubatrice dell’antipolitica, il pane quotidiano per uno come Farage.
Per l’inquilino di Downing Street non si tratta affatto di una buona notizia; la presenza il Brexit Party in praticamente tutti i collegi è, al contrario una vera iattura per i tories, che rischiano di perdere decine di seggi favorendo laburisti e liberal democratici.
Il Brexit party alle elezioni europee di maggio ha ottenuto un risultato roboante, prima formazione del paese con oltre il 32% dei consensi. Un successo favorito dal tipo di consultazione ( proporzionale puro e scarsa affluenza) che non può essere trasferito sul voto politico dove vige un sistema uninominale e una tradizione favorevole ai conservatori. Se qualche settimana fa il partito di Farage era dato attorno al 10% con scarse possibilità di conquistare qualche seggio, oggi si aggira attorno al 18% e la tendenza indica una netta crescita a svantaggio proprio dei tories che perdono circa 5 punti ( 36%) mentre i laburisti sono stabili al 24% e i lib dem al 16%.
Jacob Rees- Mogg, ministro delle relazioni con il Parlamento è molto preoccupato e attacca duramente Farage: «Un comportamento scellerato che rischia di far saltare la stessa brexit eleggendo una Camera dei comuni favorevole al remain». L’accusa di disperdere il voto di destra favorendo le sinistre pro Ue non sembra scalfire Farage: «Siamo i soli a offirire una vera brexit, l’accordo di Johnson con l’Ue fa schifo» .