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È una vera e propria marea umana quella che ha invaso le strade di Hong Kong per ribellarsi a una legge che consente l’estradizione dei suoi cittadini “sospetti” verso la Cina.
La città- isola infatti è tornata alla madre patria dal 1997, ma conserva ancora alcuni importanti elementi di statuto speciale, che negli ultimi periodi vengono sempre più spesso erosi per mezzo del governo filo- Pechino.
Così ciclicamente riesplodono le proteste degli abitanti, come avvenne nell’ultimo grande episodio di manifestazioni, la cosiddetta “rivoluzione degli ombrelli” ( e questo spiega perché ancora oggi nelle piazze si vedono tanti ombrelli aperti), che nel 2014 paralizzò il distretto per 79 giorni per rivendicare aperture democratiche e piena partecipazione al processo elettorale.
Alla fine quella rivolta fu repressa e di fatto non ottenne nulla di definitivo. E anche stavolta non manca la tensione, per quanto all’inizio le autorità cinesi siano prudenti nella repressione di movimenti così massicci che calamitano l’attenzione dei media internazionali. Già si vedono comunque manifestanti rimasti feriti da proiettili di gomma, mentre la polizia ricorre ai gas lacrimogeni e allo spray urticante al peperoncino. Alcuni manifestanti poi hanno sfondato il cordone di sicurezza e si sono lanciati all’assalto del palazzo dell'Assemblea Legislativa, in un crescendo di tensione che può degenerare in qualsiasi momento.
Il capo della polizia ha reso noto che gli scontri sono stati riclassificati come «rivolta». Alla fine della giornata si contano 22 manifestanti feriti. Intanto di fronte alla pressione popolare e agli scontri, è stata ieri rinviata la seconda lettura del disegno di legge del Parlamento che semplificherebbe la consegna di indagati alla Cina, permettendo alla Repubblica popolare cinese di processare in patria i sospetti che risiedono a Hong Kong. Il segretariato del consiglio legislativo ha precisato in una nota che l'inizio dell'esame sulla controversa legge sull'estradizione è stato rinviato a seguito delle contestazioni in atto. Una prima vittoria del movimento.
La seduta che doveva iniziare durante la mattinata «è stata spostata a data da destinarsi».
La maggioranza filo- cinese, guidata dal capo esecutivo Carrie Lam, sostiene che le nuove regole siano necessarie per colmare un vuoto legislativo ed evitare che la città- stato diventi un «rifugio per criminali» generici. Il via libera alla consegna alla Cina sarebbe di responsabilità del capo esecutivo dopo una prima lettura dei tribunali. Secondo i manifestanti invece la legge è un evidente tentativo di interferire nell’indipendenza giuridica di Hong Kong per minacciare le libertà civili garantite dagli accordi secondo lo schema “un Paese, due sistemi”, che prevedeva, fra le altre cose, che libertà civili e diritti umani sarebbero state tutelati per i successivi 50 anni.
Non a caso Pechino sostiene di non avere nulla a che fare con il provvedimento che sarebbe un’iniziativa diretta del governo di Hong Kong, ma al contempo ha manifestato il suo pieno appoggio alla riforma. I precedenti e gli sviluppi critici della situazione non lasciano immaginare che la questione possa sbloccarsi a breve senza ulteriori tensioni.
«Chiunque passi attraverso l’aeroporto di Hong Kong potrebbe essere arrestato ed estradato in Cina, scriveva ieri Jerome Cohen, professore della New York University School of Law, esperto di diritto cinese. Secondo Cohen, se la legge verrà approvata, i paesi democratici che hanno tratti di estradizione con Hong Kong dovranno rinegoziarli o cancellarli. A sottolineare la gravità dei rischi, Cohen ricorda il caso Huawei che ha portato cittadini canadesi nelle carceri cinesi come risposta all’arresto in Canada della figlia del fondatore del colossodelle telecomunicazioni.