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È come quando parte una fuga nel ciclismo: magari finisce dopo tre chilometri, ma potresti anche non riprenderli più. Così è per l’Anm rispetto a un nuovo soggetto “politico” della magistratura: il nascente coordinamento unitario dei procuratori. Una cosa mai vista. E che preoccupa il sindacato dei giudici. La giunta di quest’ultimo, non a caso, ha diffuso ieri una nota che è soprattutto un appello ai “secessionisti”. Vi si auspica che gli ideatori del coordinamento «si rendano promotori anche di una opportuna interlocuzione con l’Anm».
Parole di distensione, rivolte «al fine di elaborare un percorso condiviso, essendo l’Anm ampiamente disponibile a valorizzare le istanze sottese all’iniziativa». È un invito a non proseguire nel percorso sganciato dall’associazionismo togato tradizionale. Sarà raccolto? Il quesito è legato al peso dei succitati “ideatori”: che è massimo. Si tratta infatti dei capi dei maggiori uffici inquirenti d’Italia: Giuseppe Pignatone di Roma, Giovanni Melillo di Napoli, Francesco Greco di Milano, Franco Lo Voi di Palermo e Armando Spataro di Torino. È proprio quest’ultimo ad aver fatto il primo passo, subito seguito dagli altrettanto autorevoli colleghi. Come si vede, si tratta di un pacchetto di mischia potenzial- mente in grado di relegare a un ruolo di fatto marginale l’Associazione nazionale magistrati. Non è un retropensiero inconfessabile: sempre nel comunicato di ieri, la giunta del “sindacato” lo riconosce esplicitamente: «L’iniziativa, anche al di là delle intenzioni dei procuratori interessati, può oggettivamente produrre l’effetto di delegittimare e depotenziare il ruolo dell’Anm, sovrapponendosi alla sue fondamentali funzioni». Di qui l’invito a ricomporre la divaricazione strategica, «nell’interesse di tutta la magistratura e della giustizia». Nell’ultimo vocabolo della nota, si fa osservare dall’Associazione magistrati, c’è «un riferimento implicito anche al rapporto con l’avvocatura. L’attuale giunta ha stabilito una dialettica mai vista prima con il Cnf: ma come potrebbe, l’istituzione forense, confrontarsi con una struttura che rappresenta solo una parte dei magistrati, e che per giunta non è eletta democraticamente?». Tema non peregrino. E il pericolo riguarda certo anche la naturale controparte, cioè gli avvocati, ma il “rischio fatale”, come lo chiamerebbe Tremonti, è per la magistratura associata.
L’innesco del coordinamento dei pm è nella riforma delle intercettazioni: in quell’occasione il guardasigilli Andrea Orlando ebbe, nei vertici delle cinque Procure maggiori, un interlocutore autonomo. Quei cinque guidano ora l’esercito dei 100 “capi”. Certo, quei magistrati avevano scritto con le loro circolari il prodromo del decreto di via Arenula. Ma il precedente si è fissato. E adesso, sempre citando il comunicato di ieri, il coordinamento si dà «la finalità di elaborare proposte unitarie su tematiche giudiziarie nonché di interloquire in maniera sinergica con le Istituzioni». Hai detto niente. “Cattive intenzioni” confermate dal rigore con cui Spataro ha disegnato il nuovo organismo: ne fanno parte tutti i procuratori distrettuali, quelli che dirigono gli uffici delle sedi di Corte d’appello, ma sulla base di una «delega» conferita da tutti gli altri, cioè dai capi delle restanti Procure “circondariali”. Niente di elettivo: tutti dirigenti “nominati” ( dal Csm, che tra l’altro ieri ha continuato nel ciclo di audizioni degli stessi procuratori sulla nuova norma dell’avocazione) e non eletti democraticamente ( come avviene invece per gli organismi dell’Anm). Si guarderà in faccia al problem al prossimo direttivo del “sindacato”, il 24 marzo, quando Eugenio Albamonte passerà il testimone al nuovo presidente, Francesco Minisci.
Pare che lo “strappo” di Spataro e degli altri nasca anche dal dissenso rispetto alla linea intransigente dell’Anm con le toghe onorarie, che invece il procuratore di Torino ha difeso. Certo è che nell’anno del voto per il nuovo Csm, la fuga dei pm fa molta più paura di una scissione di partito.