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La pericolosa minaccia per gli ayatollah è una donna minuta di 55 anni dal sorriso raggiante. Talmente pericolosa che il regime l’ha condannata alla pena surreale di trentotto anni di prigione. E a 148 frustate, da infliggere sulla pubblica piazza.
La Corte di Teheran che ha emesso la sentenza contro Nasrin Sotoudeh evoca motivazioni roboanti: «complotto contro lo Stato», «attentato alla sicurezza nazionale», «ingiurie verso la Guida suprema», «istigazione alla prostituzione», «violazione della legge che obbliga a indossare l’hijab». E si aggrappa all’articolo 134 del codice penale iraniano, un’aberrazione giuridica che consente al giudice di aumentare la pena in modo discrezionale se i capi di imputazione sono più di tre. Basta scorporare le accuse e il gioco è fatto.
Si può capire però cosa spaventi a morte gli aytollah: Nasrin Sotoudeh, la più importante avvocata dei diritti umani dell’Iran, è nota in tutto il mondo da quando nel 2012 ha vinto il premio Sakarov assegnato dal Parlamento europeo, le sue battaglie sono un prisma che riflette le contraddizioni e la brutalità di un sistema arcaico, ma è anche una forza tranquilla, che agisce con le armi del diritto e della non violenza, una donna appassionata della politica e della libertà. Nata in una famiglia benestante della classe media, da giovane voleva iscriversi alla facoltà di filosofia: «Avevo anche fatto il concorso, 53esima su 30mila studenti, poi alla fine un amico mi ha consigliato di laurearmi in legge, non so se ho fatto bene ma questa è la mia vita», raccontava lo scorso anno in un’intervista rilasciata al quotidiano francese Libération.
Dopo la laurea inizia a lavorare per una rivista, Dericheh, scrive articoli, reportage, testimonianze, incontra molte donne che le parlano delle difficoltà nel vivere in una società bigotta e ipocrita, in particolare nei confronti dei più giovani letteralmente imprigionati nella ragnatela di divieti e proibizioni imposta dal clero. Il direttore rifiuta gli articoli e lei sbatte la porta: «Quella censura mi ha fatto male ma mi ha convinta a battermi con ancora più determinazione per la libertà delle donne».
Così Nasrin decide di diventare un’avvocata. Dopo aver perfezionato gli studi in diritto internazionale, nel 1995 supera con successo l’esame all’ordine, ma ci vorranno nove anni per ottenere il diritto a esercitare la professione. In quel periodo incontra Reza Khandan, che diventerà suo marito e compagno di vita: «Reza è un uomo moderno e gentile, è sempre stato al mio fianco in tutte le mie battaglie». Anche in questi drammatici giorni Khandan sta facendo di tutto per coinvolgere l’opinione pubblica internazionale a occuparsi del caso di sua moglie, con il rischio molto elevato di finire anche lui dietro le sbarre.
Nasrin difende da anni i veri o presunti oppositori politici del regime sciita, le donne accusate di violare i rigidi dettami della sharia, cittadini che manifestano pacificamente il proprio dissenso, giornalisti rei di aver criticato il governo, giovani sorpresi a bere una birra per strada, ragazze vestite in modo “scostumato”, coppie che si scambiano effusioni proibite nel posto sbagliato.
Il primo arresto è nel 2010 per l’assistenza legale a Zahra Bahrami, una cittadina di origine olandese accusata di «propaganda e cospirazione contro lo Stato». Condannata a 11 anni viene messa in isolamento nel carcere di Evin, la famigerata prigione un tempo gestita dalla Savak (la polizia segreta dello Scià) che dopo la Rivoluzione del 79 ha mutato soltanto il colore politico e ideologico dei suoi carcerieri, ma non i metodi disumani di detenzione.
Le visite dei familiari le sono vietate per mesi, lei protesta con due scioperi della fame che la sfibrano nel corpo ma non nell’animo. Viene liberata nel 2013 con l’arrivo del presidente riformista Rohani che, desideroso di mostrare un’immagine diversa dell’Iran alla comunità internazionale le concede la grazia. Una mossa utile anche a negoziare con l’allora presidente Obama l’accordo sul programma nucleare di Teheran. Nel 2017 assiste le decine di ragazze che si sono tolte il velo in piazza sfidando il regime; Nasrim denuncia ancora il sistema che impedisce alle imputate di scegliere il proprio avvocato e finisce di nuovo nel mirino dei giudici. Viene arrestata di nuovo lo scorso giugno e da allora non è più uscita dalla sua cella di tre metri per tre nell’inferno di Evin. Il resto è cronaca.