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Gli avvocati, quali tutori dei diritti, sono minacciati in molti stati del mondo. Ieri si è svolta presso il Consiglio Nazionale Forense la celebrazione della Giornata internazionale degli avvocati in pericolo, che quest’anno è stata dedicata alla situazione egiziana, anche in considerazione del vicino anniversario dalla scomparsa del ricercatore italiano Giulio Regeni. All’evento ( cui si sono connessi in streaming anche gli ordini degli avvocati di Venezia, Napoli, Oristano, Milano, Messina e Siracusa) ha partecipato l’avvocato egiziano Mohamed Azab, componente del Comitato egiziano per i diritti economici e sociali. «Quello del vostro Giulio Regeni, purtroppo, non è l’unico tragico caso di scomparsa e omicidio di civili. Per ricordarne solo un altro, un pacifista è stato prelevato dalla polizia e linciato e, a due anni dai fatti, ancora i colpevoli non sono stati punti», ha raccontato Azab, il quale ha descritto il regime di terrore in cui vivono gli avvocati nel suo paese. «Noi siamo tute- lati da garanzie costituzionali, ma gli avvocati vengono comunque perseguitati, in particolare i difensori dei diritti umani. Nel paese ci sono 600mila difensori e il loro lavoro di difesa viene ostacolato a livello burocratico, perchè sono complicati gli incontri con i detenuti e l’ottenimento delle copie degli atti. Inoltre, il regime ha preso di mira chi difende manifestanti, attivisti politici e sindacalisti», ha spiegato. Per questo, il rappresentante dell’avvocatura egiziana ha chiesto un intervento attivo da parte dei colleghi italiani: «La solidarietà non basta, ci serve che voi facciate pesare la vostra presenza nelle commissioni internazionali e che esercitiate pressione perchè l’opinione pubblica venga sensibilizzata», ha chiesto. Un messaggio di aiuto recepito dal presidente della Commissione diritti umani del Cnf, Francesco Caia. All’evento, cui hanno preso parte anche il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma con la consigliera Cristina Tamburro e il presidente della Camera Penale di Roma Cesare Placanica, sono intervenuti il presidente del Comitato interministeriale per i diritti uma- ni, Fabrizio Petri e Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. «E’ importante che un’istituzione come il Cnf scenda in capo per i diritti, da parte mia c’è la piena disponibilità a collaborare», ha detto Petri. Ruffini, invece, ha ricordato il caso Regeni: «Il caso di Giulio, un italiano che è stato privato della vita in modo brutale, ci lascia un’eredità pesante. La sua tragica vicenda ha lasciato un segno profondo, che rimane a due anni di distanza, tanto da trasformare Regeni in un difensore dei diritti umani in Egitto, un paese vicino ma dove i diritti umani non sono mai stati pienamente rispettati».
Tra gli interventi, anche quello di Barbara Spinelli, avvocata italiana fermata in Turchia perchè attivista in favore dei diritti dei colleghi curdi e membro dell’associazione Giuristi democratici/ ELHD. «La situazione egiziana è particolarmente difficile, soprattutto per le avvocate, che vedono i loro diritti violati come prassi da parte della polizia. In particolare, le avvocate femministe sono perseguitate per le loro posizioni politiche e per le difese che assumono», ha spiegato, aggiungendo come «Un dato grave è la mancata adesione dell’Egitto alla convenzione contro le sparizioni forzate, un fenomeno diffusissimo nel paese africano». Sulla stessa linea anche Ezio Menzione, rappresentante dell’Unione Camere Penali, il quale ha sottolineato come «le pene di morte sono in continuo aumento, con un dato che si aggira intorno alle 100 uccisioni l’anno, cui si associa il numero degli scomparsi: più di un migliaio negli ultimi tre anni». Per questo, ha aggiunto, «E’ importante sostenere le iniziative dei gruppi di attivisti egiziani, molti dei quali avvocati, che stanno tentando di ottenere una moratoria di 5 anni per l’esecuzione delle condanne a morte». La testimonianza della situazione egiziana, dunque, ha restituito l’istantanea di come un paese mediterraneo strettamente collegato all’Italia abbia subito un pericoloso arretramento nella tutela dei diritti umani, anche per quanto riguarda l’esercizio della professione forense e il diritto di difesa.