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L'intervento dell'ex presidente Anm: "La riforma che ha gerarchizzato gli uffici ha incoraggiato il carrierismo tra noi magistrati. Ora l'errore rischia di ripetersi"
Dite che il no dell’Anm alla riforma Cartabia non ha i tratti dell’opposizione sindacale, della resistenza a prescindere, come sostiene tra l’altro Luciano Violante nell’intervista di oggi al Dubbio? E allora guardate un po’ qual è l’ultima piega che ha preso la polemica delle toghe nei confronti del Parlamento. In un comunicato diffuso stamattina, Magistratura indipendente non fa più nemmeno menzione delle tante presunte nefandezze del ddl, già denunciate nei giorni scorsi, ma si avventa su un dettaglio emerso solo nelle ultimissime ore: l’innalzamento dell’età pensionabile da 70 a 72 anni. La soglia per il congedo dei giudici, si legge nella nota della corrente moderata, non può diventare una «fisarmonica» che viene innalzata e abbassata «a seconda delle convenienze del caso concreto». E per carità, fin qui nulla da dire, obiezione legittima, da valutare nel merito. Ma intanto salterà subito all’occhio come ogni aspetto della riforma sia diventato buono, ormai, per farci un editto, un anatema. Dopodiché a colpire davvero è il passaggio finale in cui “Mi” adombra la volontà di modificare l’età della pensione non in vista degli obiettivi imposti dal Pnrr (non è con un maggior numero di «magistrati anziani» che «si risolve il problema dei vuoti di organico della magistratura»): il «sospetto» avanzato direttamente dal segretario del gruppo, Angelo Piraino, è che «i veri scopi siano altri, e cioè di favorire o penalizzare singoli magistrati, incidendo su vicende particolari». Ed ecco, qui veniamo presi in contropiede, spiazzati. Perché intanto assistiamo all’entrata in scena di un altro topos classico della polemica sindacale: i presunti crumiri che farebbero “intelligenza con il nemico”, col padrone (nel caso di specie il padrone sarebbe la politica). Ma poi basta poco a capire che il vero bersaglio della freccia al curaro scoccata da “Mi” è Giovanni Salvi, pg di Cassazione, segnalato già da alcuni articoli ancora più acuminati della nota di Piraino. Ora, al di là del fatto che Salvi ha dichiarato alle agenzie innanzitutto quanto segue: «Non avevo alcuna conoscenza (dell’emendamento, ndr) e non ho avuto alcuna interlocuzione, ho saputo da mezzi di stampa. Non ne sapevo nulla e devo dire che non sono nemmeno interessato». Il vero punto di caduta è nell’ultima frase del pg: «Mi rammarico per il fatto che il dibattito pubblico sulla giustizia sia così povero e rancoroso». Non entriamo nella contesa. Però rileviamo un dato: nel pieno della polemica, e della lotta, le componenti della magistratura si infliggono coltellate micidiali. E allora, decidete voi se ha ragione Violante a dire che l’altolà alla riforma si spiega con la sfida tra le correnti in vista delle elezioni per il Csm. Quel che è certo è che qui siamo di fronte a un derby senza quartiere tutto interno all’Anm. Che, e anche di questo è difficile dubitare, ha tutta l’aria di condannare la resistenza dei magistrati a un clamoroso fallimento.