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È iniziato ieri, tra forti polemiche, nell’aula bunker di Rebibbia a Roma il processo di appello “Mondo di Mezzo”, procedimento a carico di 43 imputati per 19 dei quali la procura di Roma contesta l’associazione di stampo mafioso, accusa non riconosciuta nel processo di primo grado. Gli imputati, infatti, erano stati condannati con ipotesi di associazione a delinquere semplice, finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta. Il primo procedimento si era chiuso con la condanna a 20 anni di carcere per l’ex nar Carminati, 19 per Salvatore Buzzi, e una serie di condanne per gli altri 41 imputati. Cinque persone furono assolte. In apertura di udienza ha preso la parola il difensore di Massimo Carminati, Giosuè Bruno Naso che ha parlato di «processetto mediaticamente costruito per condizionare i giudici anche con le inchieste del giornalista Lirio Abbate, che io ho ribattezzato Delirio. Si processano le persone - ha aggiunto il penalista - per quello che fanno e non per quello che si assume abbiano fatto». Il legale ha poi durante commentato la provocazione del procuratore generale della Corte d’Appello, Giovanni Salvi, che, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, aveva polemizzato sulla sentenza di primo grado che aveva rigettato lo scorso luglio l’esistenza dell’associazione mafiosa: «Non si parla di processi in corso all’inaugurazione dell’anno giudiziario - attacca Naso -. Non è un processo speciale. Vogliamo fare presto il processo ma farlo come un normale processo. Se fosse un processo speciale ci vorrebbe un tribunale speciale e di tribunali speciali ne abbiamo piene le tasche». Non si è lasciata attendere la replica del giornalista Abbate che da twitter lancia il presunto allarme sulla sua persona: «Puntare il dito contro un giornalista in un’aula di giustizia con imputati per # mafia è come indicare un bersaglio. Soprattutto quando il dito è puntato a chi non fa parte del processo. Il difensore di # Carminati continua a farlo. Perché?». Mentre dal quotidiano la Repubblica titolavano “Naso prende la parola e spara a zero su Procura e cronisti”. Le difese di Carminati e Buzzi hanno poi presentato un’eccezione alla Corte per chiedere la presenza in aula dei loro assistiti nel corso delle udienze: Buzzi è detenuto infatti nel carcere di Tolmezzo, Carminati a Opera. Il primo ha deciso di non prendere parte all’udienza, in videoconferenza, perché ha ritenuto che la mancata presenza in aula leda i suoi diritti. Il secondo, fino a pochi giorni fa detenuto a Oristano, è stato collegato in videoconferenza dal carcere milanese, senza che i suoi difensori fossero a conoscenza del provvedimento di trasferimento deciso dal Dap. I giudici della terza Corte d’Appello hanno però rigettato le richieste avanzate dai difensori dei due principali imputati.
Tra gli altri c’è anche Luca Odevaine: l’ex componente del tavolo di coordinamento sugli immigrati del Viminale ha raggiunto un accordo sulla pena con la Procura generale. Lo ha comunicato alla Corte l’avvocato Luca Petrucci precisando che il concordato con la pubblica accusa prevede una condanna a 3 anni e 8 mesi di reclusione, «per una pena finale complessiva, tenuto conto di altri patteggiamenti, pari a 5 anni e 2 mesi». In primo grado a Odevaine erano stati inflitti 6 anni e mezzo di carcere ( che diventavano 8 in continuazione con due precedenti patteggiamenti). Sarà ora la Corte d’appello a ratificare i termini di questo accordo.