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È il ministro della Giustizia in carica. Ed è l’autore di una bozza di riforma, giudicata «acqua» dell’ormai ex alleato Salvini, certo ampia per spettro di interventi. Alfonso Bonafede è tra i cinquestelle più duri nei confronti della Lega. Circostanza che non può sorprendere: l’altolà del Carroccio al suo testo su processo e Csm risale ad appena dieci giorni fa.
ATTACCO DI BONAFEDE «Giorno dopo giorno, si sgretola sempre di più la maschera di chi ha tradito il popolo italiano per poltrone e Berlusconi», scrive Bonafede su facebook. Poi aggiunge: «Immagino già il primo punto del loro “programma”: smantellare la legge spazzacorrotti, a cominciare dalla legge sulla prescrizione». E qui il guardasigilli squaderna un intero, ancora inesplorato capitolo della crisi: la giustizia appunto.
Il breve post di ieri racchiude in sé una domanda, inevitabile: se davvero la carambola politico- parlamentare generasse un’intesa fra M5S e Pd, cosa accadrebbe su dossier come quello della prescrizione, che allo stato, per i reati commessi dal prossimo 1° gennaio, sarebbe abolita dopo la sentenza di primo grado?
Il quesito rimanda alle diverse visioni che i due partiti anno soprattutto sui due punti: processo penale e rapporto con la magistratura. Un’ottica distante, certo. Ma non inconciliabile. Tanto da suggerire un pronostico: se per caso davvero si realizzasse lo scenario, complicatissimo, di un prosieguo della legislatura con l’inedito asse tra pentastellati e dem, la “nuova” prescrizione avrebbe significative chances di restare in vita.
TUTTE LE VARIABILI Il pronostico è condizionato a una sequenza notevole di subordinate. Prima fra tutte, la durata di una legislatura rimessa sui binari in tal modo. Intanto però va constatato che lo stop al decorso della prescrizione una volta pronunciata la sentenza di primo grado è ipotesi che era stata parzialmente coltivata, in una prima fase, proprio dal Pd nella legislatura precedente.
Poi prevalse una soluzione diversa, meno brutale e meno traballante quanto a legittimità costituzionale: la sospensione dei termini di prescrizione per 18 mesi dopo la sentenza di condanna in primo grado e per ulteriori 18 mesi dopo l’eventuale sentenza di condanna in appello. Certo, più volte il predecessore di Bonafede, Andrea Orlando, ha ricordato quanto fosse discutibile un ulteriore intervento sull’istituto processuale, considerato che ancora non si è avuto modo di mettere alla prova la modifica introdotta da lui. Resta però il fatto che culturalmente i dem, o quanto meno ampi settori del partito oggi guidato da Nicola Zingaretti, non sono radicalmente ostili a quel tipo di soluzione.
In astratto non si può escludere un compromesso, che veda magari un ritocco alla “nuova” prescrizione, introdotta dalla spazzacorrotti, in modo per esempio da limitarla alle sentenze di condanna. Così come non si può escludere che un’alleanza seppur transitoria fra pentastellati e democratici possa prevedere, nel dossier giustizia, un parziale recupero della riforma Bonafede.
I PUNTI DI CONTATTO In particolare, di quelle parti del ddl delega messo a punto a via Arenula che avrebbero riscritto sia i criteri di elezione del Csm che altri aspetti dell’ordinamento giudiziario. Se c’è infatti un punto di relativa vicinanza tra i due partiti sulla giustizia è appunto in una certa intransigenza nei confronti delle toghe.
Un tratto forse nuovo per il partito di Luigi Di Maio. E che invece è stato ampiamente sperimentato proprio da Renzi. Basti pensare a provvedimenti come il taglio delle “ferie” di giudici e pm o al drastico abbassamento dell’età per il loro pensionamento, da 75 a 70 anni. Ci potrebbe essere intesa sui tempi di fase per i processi penali e le relative sanzioni per i giudici che non li rispettano.
Possibile convergenza sulle conseguenze disciplinari previste, da Bonafede, anche per i pm che tardano nel chiudere le indagini. Analogo discorso per il “sorteggio temperato” nella scelta dei consiglieri togati al Csm e, soprattutto, sui limiti molto netti ipotizzati dall’attuale guardasigilli per i magistrati che fanno politica. Si tratta di paletti che, seppur in forme appena memo dirompenti, aveva messo nero su bianco anche l’ex responsabile Giustizia del Pd e attuale vicepresidente del Csm David Ermini.
Una convergenza sarebbe “naturale” sul no alla separazione delle carriere, osteggiata da Bonafede al pari di quanto fatto prima di lui da Orlando. Vedute più che conciliabili vanno registrate su misure che riguardano in generale le professioni e in particolare l’avvocatura, a cominciare dal rafforzamento delle norme sull’equo compenso.
Un versante che ha visto impegnati fino a pochi giorni fa sia Bonafede sia il sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone, della Lega. E sul quale il Pd ha già fatto sapere di voler dare una mano. Non va dimenticato che la legge sull’equo compenso di fine 2017 fu messa a punto da Orlando d’intesa con il Cnf, e che fu poi fortemente sostenuta anche da Maria Elena Boschi. Su questo, l’intesa col M5s, rilanciata ieri in un’intervista al Messaggero proprio dall’ex ministra, sarebbe meno sorprendente. A nascondere esiti imprevedibili è però un connubio fra pentastellati e dem in materia penale: sulla carta, si annuncia assai meno contrastato di quanto si sia rivelato quello fra Bonafede e Salvini.