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Improcedibilità, non "prescrizioine": basta la parola e la crisi sulla legge Bonafede è risolta
Timori eccessivi? Chi può dirlo. Enrico Costa, che ha il merito di essere il solo vero guardasigilli ombra oggi in Parlamento, avanza un quesito tremendo per lo Stato di diritto: «La Corte costituzionale sdogana la retroattività delle norme in materia di prescrizione?».
Secondo il deputato di Azione, l’incubo potrà essere allontanato solo dopo aver letto «la motivazione» della pronuncia anticipata due giorni fa, quando in una nota la Consulta ha spiegato di aver rigettato le questioni di legittimità poste sulla norma che ha bloccato il decorso della prescrizione per i procedimenti penali sospesi del lockdown (dal 9 marzo all’ 11 maggio). Solo dopo aver studiato al microscopio il filo logico che ha portato la Corte a quella decisione si potrà, eventualmente, «scongiurare il rischio che qualche giudice utilizzi questa sentenza per applicare retroattivamente la riforma Bonafede, che sopprime la prescrizione dopo il primo grado», nota Enrico Costa.
La decisione della Consulta sulla prescrizione sospesa durante il lockdown
Mercoledì scorso il collegio presieduto da Mario Morelli ha dichiarato infondate le questioni di legittimità, avanzate da tre diversi Tribunali, sull’articolo 83 quarto comma del decreto Cura Italia. Si tratta del primo vero provvedimento di chiusura del Paese, entrato in vigore nel marzo scorso, con cui s’introdussero limitazioni a tutto, processi compresi. Nel decreto (il 18 del 2020) c’era pure il rinvio della gran parte dei processi civili e penali, con contestuale stop al fluire dei termini, prescrizione inclusa.
Fin qui nulla di sconvolgente anche per i Tribunali di Siena, Spoleto e Roma. I giudici dei tre uffici giudiziari hanno però deciso di sottoporre al giudice delle leggi un particolare profilo di quello stop al termine di estinzione dei reati: l’efficacia della sospensione rispetto agli illeciti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto. Hanno riscontrato, in quella possibile estensione, un tradimento del principio sancito all’articolo 25 della Costituzione, la irretroattività della legge penale sfavorevole alla persona accusata. Non si è trovata d’accordo la Consulta, che nel comunicato diffuso mercoledì ha spiegato appunto di aver ritenuto immotivato l’allarme sia rispetto all’articolo 25 che al diritto europeo.
Insomma, per il giudice delle leggi uno improvviso stop al corso della prescrizione decisa dal legislatore in virtù di una paralizzante pandemia può estendersi ai reati del passato.
Enrico Costa: «Blocca-prescrizione, il governo disse: non potrebbe mai essere retroattivo...»
Ieri Costa, alfiere alla Camera di Azione dopo esserlo stato per tre lustri di FI, ha svelato un retroscena della riforma “universale” della prescrizione, inserita tre anni fa da Bonafede nella spazzacorrotti: «Avevo, a suo tempo, presentato un emendamento per precisare che la norma si applicasse solo ai fatti sopravvenuti, in linea con la riforma Orlando che contiene la norma transitoria: nel respingerlo il governò specificò che era inutile, vista la natura sostanziale della prescrizione. Ora», dice Costa, «ribadire quella certezza giuridica sarebbe quantomai opportuno».
Il blocca-prescrizione voluto dal M5S è entrato in vigore il 1° gennaio del 2020. Si è sempre ritenuto potesse applicarsi solo ai reati commessi a partire da quella data. Ne è sempre stato convinto lo stesso Alfonso Bonafede, che provò a rassicurare, almeno su questo, avvocati e partiti ostili alla riforma col seguente discorso: «Prima che la nuova prescrizione faccia sentire i propri effetti passeranno almeno quattro o cinque anni, visto che riguarderà solo i nuovi reati».
Al di là dei motivi tecnico-processuali che sembrano anticipare a ben prima del 2024 l’effetto della mannaia, nessuno aveva mai contestato il fatto che la norma Bonafede inserita nella spazzacorrotti si sarebbe davvero applicata ai soli reati successivi all’entrata in vigore. Ma ora la pronuncia della Corte costituzionale sul mini-blocco della prescrizione in tempo di covid rende non del tutto astratto il timore di Costa su una sorta di effetto valanga.
Zanon si è dimesso da relatore in dissenso dal resto della Corte
Come dice il deputato di Azione, adesso si dovrà studiare al microscopio la logica seguita dalla Corte costituzionale. Intanto, un dato di cronaca: mercoledì sera il giudice Nicolò Zanon ha rinunciato al ruolo di relatore sulla prescrizione-covid, in dissenso dal resto del collegio. Non è un segreto: Palazzo della Consulta l’ha voluto rendere noto, con apprezzabile rispetto della diversità di giudizio, in una appendice al comunicato stampa relativo alla decisione.
Lo si potrebbe considerare persino l’indizio di una preoccupazione che forse inquieta lo stesso Zanon (sulla quale il Dubbio ha provato, senza successo, a interpellare il giudice costituzionale): anche lui potrebbe aver notato i pericoli, indicati da Costa, della collisione con l’articolo 25. Anche Zanon potrebbe non escludere del tutto il rischio di una retroattività estesa, almeno da qualche singolo giudice ordinario, al blocca-prescrizione vero, quello voluto da Bonafede dopo tutte le sentenze di primo grado.
Partita persa (dai garantisti) sul lodo Conte bis
Oltretutto, all’ipotesi che la riforma inserita tre anni fa nella spazzacorrotti possa essere modificata, dall’attuale Parlamento, in direzione garantista, non ci crede più manco Renzi. Nella commissione Giustizia della Camera, che esamina il ddl penale, si parla di tutto fuorché di rendere più tranchant il lodo Conte bis, come pure ha esortato a fare Giovanni Canzio nei giorni scorsi. Ora, la prescrizione-covid era inserita in un decreto riguardante un periodo breve, di otto settimane, e chissà se la stessa Consulta sarebbe mai potuta arrivare a giudicare retroattivo anche il blocca prescrizione universale del 2019. Ma ora chi può metterci la mano sul fuoco?